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L’estensione delle pratiche valutative: il principio DNSH

Alessandro Calzavara – UI n. 305 – settembre-ottobre 2022     

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L’estensione delle pratiche valutative: il principio DNSH è il titolo del seminario curato da ASSURB nell’ambito dell’edizione 2022 di Urbanpromo, tenutosi a Cascina Fossata – Torino il 14 ottobre 2022. Le motivazioni di una tale particolare scelta tematica sono da ricercarsi nell’estrema importanza che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e i suoi meccanismi stanno avendo nel nostro paese (e non solo), oltre alla necessità di porre la valutazione ambientale (e i suoi attori) all’interno di un quadro non meramente amministrativo, ma di scelta ineludibile di contrasto alla minaccia climatica che, insieme a quella energetico-economica, sta minando i fondamenti di ogni possibile futura convivenza.

Principio DNSH, questo sconosciuto

Inoltre, l’esperienza di confronto professionale con le pubbliche amministrazioni ed i progettisti che lavorano per la PA permette di trarre la (mesta) conclusione che l’applicazione di un tale principio (obbligatorio per tutti i finanziamenti che sono confluiti e confluiranno all’interno del PNRR) è ai più sconosciuta. Non si tratta solo di una lacuna relativa ad un aggiornamento tecnico / professionale: la maggior parte delle responsabilità possono essere poste a capo dell’iniziativa del legislatore, che in ritardo (come peraltro è avvenuto per altri processi valutativi ambientali, come VAS, VIA etc.) e in modo confuso / disorganico (si pensi all’enorme mole di materiali, circolari ed affini che è stata prodotta e in alcuni casi neppure tradotta dall’inglese) ha affrontato una tematica che di per sé non presenta una novità (da parecchi anni l’UE sta lavorando in questo senso, come nel caso dei CAM – i Contenuti Ambientali Minimi – di cui la DNSH rappresenta la naturale evoluzione). Questo ha prodotto (riassumendo ed estremizzando l’intervento dell’avv. Urbano Barelli, Project Manager di Regione Lombardia “Valutazioni e autorizzazioni ambientali” per il PNRR) un procedimento che non poggia su un compiuto fondamento giuridico e ha dato adito a una produzione documentale / valutativa la più varia e dissonante, cosa che potrebbe creare seri problemi nella successiva fase di rendicontazione.

Sintesi del principio

È toccato al prof. Pasquale De Toro (Università degli studi di Napoli Federico II) delineare sinteticamente la storia e l’evoluzione di tale principio: la normativa sulla Tassonomia europea delle attività ecosostenibili, di cui all’articolo 17 del Regolamento (UE) 2020/852, individua i criteri per determinare come ogni attività economica contribuisca in modo sostanziale alla tutela dell’ecosistema, senza arrecare “danno significativo” (Do No Significant Harm) ai sei obiettivi ambientali contemplati dallo stesso Regolamento. Ma l’origine di tale principio è addirittura antecedente: esso appare formalmente per la prima volta nel Regolamento UE 2019/2088, relativo ai servizi finanziari, a testimoniare un approccio via via pervasivo nella strutturazione della regolamentazione comunitaria (vanno sicuramente almeno citati i successivi Regolamenti 2021/241 e 2021/2139, strategici in quanto determinano i criteri di vaglio tecnico). Conseguentemente a questo nuovo approccio, il principio DNSH è anche stato posto alla base del PNRR e del Next Generation UE, le misure messe in atto dall’Unione Europea per stimolare la ripresa in seguito alla pandemia Covid-19.

In estrema sintesi, l’applicazione del principio DNSH consiste in una valutazione ex ante di un investimento ricadente nell’ambito del PNRR (ma, come detto, diventerà in futuro una prassi che si imporrà nel settore degli investimenti pubblici, come, appunto, già successo con i CAM) dal punto di vista della potenzialità di arrecare un danno ai sei obiettivi ambientali fissati a livello comunitario. Esemplificativamente, un intervento crea un danno significativo:

  1. alla mitigazione dei cambiamenti climatici, se porta a significative emissioni di gas serra (GHG);
  2. all’adattamento ai cambiamenti climatici, se determina un maggiore impatto negativo del clima attuale e futuro, sull’attività stessa o sulle persone, sulla natura o sui beni;
  3. all’uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine, se è dannosa per il buono stato dei corpi idrici (superficiali, sotterranei o marini) determinandone il loro deterioramento qualitativo o la riduzione del potenziale ecologico;
  4. alla transizione verso un’economia circolare, inclusa la prevenzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei rifiuti, se porta a significative inefficienze nell’utilizzo di materiali recuperati o riciclati, a incrementi nell’uso diretto o indiretto di risorse naturali, all’incremento significativo di rifiuti, al loro incenerimento o smaltimento, causando danni ambientali significativi a lungo termine;
  5. alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento, se determina un aumento delle emissioni di inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo;
  6. alla protezione e al ripristino di biodiversità e degli ecosistemi, se è dannosa per le buone condizioni e resilienza degli ecosistemi o per lo stato di conservazione degli habitat e delle specie, comprese quelle di interesse per l’Unione europea.

In questo senso, gli ambiti di investimento del PNRR sono stati tutti articolati secondo una specifica categorizzazione. Alle attività classificate in Regime 2 è richiesto il mero rispetto del principio di “non arrecare danno significativo”; alle attività classificate in Regime 1 è, invece, richiesto un ulteriore sforzo (progettuale e valutativo), ovvero quello di contribuire sostanzialmente al raggiungimento dell’obiettivo della mitigazione dei cambiamenti climatici (Il PNRR stabilisce che il 37% delle risorse del piano devono essere destinate al tagging climatico, ossia alla capacità di mitigare gli effetti del cambiamento climatico).

Ambito, approcci e competenze

Si tratta di una terminologia che è entrata in uso comune, ma (come detto) che ai più rimane misconosciuta non solo nella sua applicazione, ma anche nella sua filosofia, che è sostanzialmente duplice: da una parte è inserire nelle politiche di investimento sempre una valutazione delle conseguenze / ricadute sull’ambiente, dall’altra (più complessa) è quella di orientare tutti i programmi / investimenti ad un obiettivo che non è solo quello immediatamente connesso all’intervento, ma è anche uno ulteriore (che funge da concorrente, come quello, nello specifico, della mitigazione / adattamento climatico). Si tratta di una double-key che aumenta l’efficacia e l’efficienza degli investimenti, che richiede una forte pianificazione delle azioni. In questo senso è intervenuto Markus Hedorfer, presidente ASSURB, sottolineando che pianificare è valutare, e valutare è pianificare, congruenza che rende impossibile scindere l’approccio in diverse fasi: se la valutazione ha bisogno di criteri, essi si irradiano necessariamente nella pianificazione, e questo appare estremamente vero nel caso della pianificazione / valutazione ambientale.

È rilevabile, quindi, un forte legame tra la figura professionale del pianificatore e del valutatore ambientale, che deriva da una forte attenzione dei corsi di laurea in Urbanistica e Pianificazione del territorio alla formazione ambientale, sia in termini progettuali che valutativi. In questo senso l’intervento del prof. Giuseppe De Luca dell’Università di Firenze, che avverte del pericolo che la DNSH diventi una procedura “assolutoria” nei confronti della trasformazione, uscendo dai tool di una urbanistica vista come “scelta politica tecnicamente assistita”. Il risultato è la formazione di un professionista certamente capace ed attento, ma anche “competente”: in questo senso è andato l’intervento di Luca Rampado, vicepresidente ASSURB, che ha ricordato come l’articolo 16 del DPR 5 giugno 2001 n. 328 esplicitamente attribuisca all’attività professionale dei pianificatori lo svolgimento e il coordinamento di analisi complesse e specialistiche ambientali, oltre al coordinamento e la gestione delle attività di valutazione ambientale.

Tecnicalità

È toccato a Gabriella Chiellino, Presidente di IMQ eAmbiente, affrontare operativamente tale nuova tematica, in modo da fornire gli strumenti tecnici e culturali per permettere un corretto approccio amministrativo, nel senso pieno del termine, ovvero quello di “amministrare” il capitale naturale nei processi trasformativi (che, in altre parole, ancora una volta significa “pianificare”). Sono stati presentati esemplificazioni di valutazioni effettivamente compiute, particolarmente utili in quanto non esiste ancora un modo codificato di affrontare la specifica problematica valutativa. Malgrado la grande messe di modulistica prodotta (si pensi alla Guida operativa per il rispetto del principio di non arrecare danno significativo all’ambiente e alle connesse check-list, oggetto di recentissima revisione), si è di fronte ad indirizzi contraddittori e ad una metodologia non assimilata nel contesto procedurale nazionale. A riprova di tale condizione vi sono non solo le diverse procedure connesse ad ogni bando, le numerosissime FAQ pubblicate nei siti dei diversi ministeri competenti.

A complicare ulteriormente un quadro già particolarmente complesso, vi è la considerazione della estrema varietà di interventi che sono stati finanziati, una varietà difficilmente riconducibile agli schematismi prodotti. Ma la cosa che particolarmente preoccupa è la scarsa consapevolezza che tale procedura non si esaurisce con la valutazione ex ante dell’attività, ma che invece accompagna tutte le fasi di intervento (definendo eventualmente milestone e target intermedi), fino ad arrivare ad una valutazione ex post, a cui peraltro è legata l’effettiva erogazione del finanziamento. Da qui la necessità di una “ingegnerizzazione” del processo, che è (a tutti gli effetti) di “accompagnamento” (come, d’altra parte dovrebbe essere qualsiasi valutazione di tipo ambientale). In questo senso, andrebbe già predisposto il percorso documentale / amministrativo da raccogliere nelle diverse fasi, in modo da agevolare la fase di rendicontazione.

Prospettiva anche al di là del PNRR

Tutti gli attori privilegiati coinvolti nel seminario hanno concordato nella necessità di avviare un processo di empowerment nello specifico settore: il campo di applicazione del principio DNSH non può essere limitato alla presente contingenza, dettata dall’agenda del PNRR, ma rappresenta un diverso (più ampio e corretto) approccio progettuale, che deve diventare “patrimonio condiviso” di tutti gli operatori della trasformazione / conformazione del territorio. Ovviamente, in tale processo andrebbero ricomprese non solo le figure “tecniche” ma anche gli assuntori delle “politiche” che generano tali trasformazioni, che necessariamente dovrebbero confrontarsi con la (abusato termine) sostenibilità.