Migrazione e inclusione. Programmi delle attività dell’ECTP-CEU
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L’umanità è da sempre caratterizzata da movimenti migratori. Sono parte integrante e fondante della nostra storia. Senza migrazioni l’umanità non si sarebbe evoluta. I popoli e le etnie, come le conosciamo oggi, sono anch’esse il prodotto di migrazioni e rimescolamenti di popoli preesistenti. A volte, come nel caso delle migrazioni verso le Americhe a partire dal XVI secolo, hanno provocato sconvolgimenti completi delle società e dei territori di arrivo. Altre volte, come a seguito delle migrazioni interne europee tra il IV e il VI secolo hanno invece dato vita, in una simbiosi tra antico e nuovo, a forme di organizzazione della società fino a quel momento inedite. L’elenco dei potenziali casi studio, con risvolti e aspetti tra loro molto diversificati, è piuttosto lungo.
Se le migrazioni delle epoche passate hanno determinato i caratteri principali delle nostre società contemporanee, quelle odierne — a partire dai primi del XX secolo — sono ancora in divenire e hanno finora prodotto cambiamenti soltanto parziali. Le società di arrivo hanno sì in alcuni casi già cambiato i propri elementi fisionomici, ma i loro caratteri generali sono in genere ancora immutati.
Gli elementi fisionomici sono facilmente rilevabili e riguardano soprattutto i paesi con una forte presenza di popolazione con background migratorio (1) almeno in terza generazione. Per “elementi fisionomici” si deve intendere tutto quello che è influenza reciproca tra migranti, discendenti dei migranti, popolazione preesistente e popolazione mista. Un fattore di riconoscimento è per esempio la presenza in tutti i settori della società di nomi e/o cognomi di provenienza linguistica diversa da quella della popolazione preesistente, senza che questo debba necessariamente indicare una qualche collocazione etnica, linguistica o culturale della persona stessa. Un altro fenomeno interessante è quello — molto studiato in Germania — della creatività linguistica, che vede cooptare un certo modo di esprimersi, derivato da una conoscenza incompleta della lingua dominante, anche da parte della popolazione “indigena”, principalmente di età giovane, ma non solo (2). Fa parte di questo filone di fenomeni anche la reciproca influenza culinaria, che fa sì che determinate pietanze entrano a pieno titolo nelle cucine, anche in ambito privato, della popolazione sia “vecchia” che “nuova”. Porto un’esperienza personale: già nel 1980 mi era stato presentato, nell’ambito di scambi scolastici trascorsi in una famiglia francese “mainstream”, come piatto tipico francese il couscous. Questo è importante e va ben al di là di una semplice convivenza e conoscenza, perché presuppone un processo di reciproca appropriazione di schemi e modelli culturali.
Invece il piano dei caratteri generali è più complesso e richiede molto più tempo, a volte anche secoli, perché venga compiuto. Un esempio storico può essere quello del passaggio dalle strutture romane a quelle degli stati medievali tra il IV e l’VIII secolo. Ma anche in epoca contemporanea assistiamo a trasformazioni simili, lente, causate da processi di cratogenesi (3) come quelle che vedono emergere una consuetudine amministrativa, legislativa e giuridica — e con essa anche linguistica — comune delle istituzioni europee che è estranea a quella di alcuni degli stati membro. Così, solo per farne un esempio, i piani urbanistici vengono sempre più spesso “implementati” piuttosto che “attuati”, come in passato.
Insediamenti che cambiano
Premesse un po’ lunghe e apparentemente lontane dalla pianificazione territoriale. Sono utili però per arrivare al punto: i nostri insediamenti, urbani e rurali, sono soggetti a questi stessi processi, che possono avere dinamiche ed esiti diversi a seconda delle condizioni di partenza, del tipo di migrazione e soprattutto delle politiche sociali, economiche e insediative messe in campo.
Tralasciando le dinamiche delle trasformazioni delle epoche più remote — che, sebbene interessanti e con numerosa letteratura a disposizione, uscirebbero dallo scopo di questo di questo articolo — lo sguardo deve anzitutto andare verso quelle società che per prime — nel XX secolo — hanno vissuto fenomeni di immigrazione e che oggi si trovano con una stratificazione notevole di generazioni di discendenti dei migranti. In Europa si tratta sostanzialmente dei paesi con un importante passato coloniale: Regno Unito, Francia e in secondo luogo Paesi Bassi, Belgio e Portogallo.
Dopo l’immigrazione massiccia irlandese, che prima del 1945 aveva portato in Gran Bretagna circa un milione e mezzo di persone, corrispondenti a due terzi di tutti gli immigrati (Panayi 2010), con il British Nationality Act del 1948 il Regno Unito aveva aperto le porte potenzialmente a centinaia di milioni di persone delle colonie ed ex colonie. Sebbene i numeri effettivi fossero decisamente meno massicci di quelli all’epoca temuti dagli oppositori della legge, l’immigrazione dai paesi del Commonwealth ha prodotto effetti significativi, particolarmente visibili nelle città, come già osservava Friedrich Engels alla fine del XIX secolo o ancora Panikos Panayi (2020) nella sua “nuova storia” di Londra, in cui arriva ad affermare, diversamente dallo studioso ottocentesco, che, senza l’immigrazione, Londra non sarebbe diventata la world city che è oggi.
Di sicuro non è un caso se le world cities più importanti in Europa, Londra e Parigi, hanno attualmente entrambi sindaci con background migratorio: Sadiq Khan, in terza generazione, e Anne Hidalgo, tecnicamente addirittura in prima generazione (4). Ma anche le statistiche parlano chiaro: secondo i dati del 2016 dell’Office for National Statistics, soltanto il 44% della popolazione della Grande Londra (8.769.000 abitanti) si identifica con il gruppo etnico dei “White British”. Dati analoghi si riscontrano anche in altri contesti territoriali, come illustrato per esempio per Francia e Belgio dallo studio di Chantal Guillet e Catherine Vilquin (2021) in occasione di un seminario specifico organizzato dalla Società Francese degli Urbanisti in cooperazione con la Camera degli Urbanisti del Belgio. Vale la pena citare in questo contesto anche il lavoro, nato anch’esso in ambito ECTP-CEU e presentato all’assemblea generale di Madrid del 10 maggio 2019, di Gerhard Vittinghoff, che, tra vari aspetti, illustra la propensione, cresciuta nel corso delle generazioni soprattutto tra i viennesi, a praticare l’inclusione sociale e culturale anche negli spazi urbani della quotidianità e nei contesti residenziali. È questo l’humus culturale che ha permesso l’istituzione del “modello abitativo del vicinato interetnico” (6).
L’inclusione delle popolazioni con background migratorio nei tessuti sociali e urbani è però tutt’altro che compiuta, e le esperienze delle world cities, così come dei vicinati interetnici, inganna. Fino agli anni settanta erano predominanti le migrazioni per motivi di lavoro, spesso anche volutamente indotte e dirette, come nel caso degli accordi di reclutamento di lavoratori tra Germania e vari paesi del Sudeuropa e del Nordafrica (7). Le strutture sociali e insediative messe a disposizione erano però solitamente sottodimensionate e, soprattutto, non tenevano inizialmente conto del fatto che ai lavoratori reclutati sarebbero in molti casi seguite anche le famiglie. Le politiche dell’inclusione — che prima venivano declinati in termini di “tolleranza”, poi di “assimilazione” e infine di “integrazione” (cfr. ARL 2016) — hanno richiesto diversi decenni per riuscire a governare, perlomeno negli approcci teorici, la problematica della segregazione multipla, sociale e spaziale. Ma il problema, per esempio, delle banlieue e delle ZUP e ZAC (8) francesi è ancora ben lontano dall’essere superato. Il tema è balzato all’attenzione del pubblico europeo qualche anno fa in occasione dell’ondata di attentati terroristici di matrice “islamista” che hanno drammaticamente evidenziato il fallimento di molte delle politiche sociali, abitative e urbanistiche in vari paesi con una tradizione pluridecennale di immigrazione e, così si supponeva, integrazione.
Molto diversamente si presenta il fenomeno migratorio in anni più recenti. Le migrazioni per motivi di lavoro continuano anche oggi a rivestire grande importanza, ma hanno radicalmente cambiato natura. Accanto a nuovi programmi di reclutamento, generalmente per professioni con elevate specializzazioni come nel caso della “Green Card” tedesca degli anni 2000-2004 (9) che pongono poche criticità in termini di inclusione sociale, si assiste a movimenti migratori spontanei, spesso poi sfruttati da organizzazioni criminali, dovuti a condizioni di estrema povertà generalmente in paesi extraeuropei. A questi movimenti si aggiungono importanti flussi di profughi dalle varie zone di guerra del mondo, come Siria, Afganistan e Yemen, per citare solo quelle più note. È stato proprio l’arrivo massiccio di profughi siriani nel 2015 a costringere a un salto di qualità negli approcci alla prima accoglienza, alla distribuzione sul territorio e all’inserimento scolastico, professionale e, di conseguenza, sociale delle persone in arrivo.
In termini di pianificazione, queste dinamiche costringono a un cambio di paradigma: si passa dalla possibilità — sebbene spesso nei fatti non colta — di pianificare l’arrivo, a suo tempo relativamente ordinato, dei migranti al fine di una piena inclusione, alla necessità di prevedere l’imprevedibile, in modo molto simile a come si dovranno sempre più spesso affrontare le emergenze in caso di catastrofi naturali o anche di tipo sanitario. Si veda, a tale proposito il manifesto Re-Start Europe a cura dell’ECTP-CEU (2020).
Note
- L’espressione “persone con background migratorio” è qui stata presa in prestito traducendo l’espressione tedesca “Personen mit Migrationshintergrund”, che è ormai consolidata in letteratura e nella lingua pubblica e che probabilmente origina, sebbene con accenti diversi, dall’espressione inglese “ethnic background”. Il termine viene attribuito alla sociologa Ursula Boos-Nünning in qualità di componente della commissione di esperti del Decimo rapporto su bambini e adolescenti (BMFSFJ 1998). L’Ufficio federale di statistica tedesco definisce persona con background migratorio una persona che ha almeno un genitore nato senza cittadinanza tedesca. Secondo questa definizione, nel 2019 il 26% della popolazione tedesca aveva un background migratorio.
- A partire dal romanzo di Feridun Zaimoğlu del 1995, il fenomeno della allora emergente “Kanak Sprak”, del “Kiezdeutsch”, “Türkischdeutsch” ecc. è stato più volte oggetto di studi sociologici e linguistici. Particolare risonanza di pubblico hanno avuto in questo contesto la dissertazione (2012) e il successivo libro (2016) della sociolinguista Diana Marossek che ha anche introdotto l’espressione “Kurzdeutsch” (“tedesco breve”).
- Il termine è pressoché sconosciuto nella maggior parte delle lingue, ma sporadicamente usato in greco (“κρατογένεσις”), principalmente con riferimento alla genesi nel 1821 dello stato ellenico moderno.
- È arrivata in Francia all’età di soli due anni.
- I dati si basano sulle dichiarazioni rese dalle persone intervistate in occasione del censimento della popolazione del 2011, integrate dalle Annual Population Survey e dalle Mid-year Population Estimates.
- “Wohnmodell inter-ethnische Nachbarschaft”.
- Italia (1955), Spagna (1960), Grecia (1960), Turchia (1961), Marocco (1963), Portogallo (1964), Tunisia (1965), Jugoslavia (1968).
- Zone à urbaniser en priorité (ZUP) e Zone d’aménagement concerté (ZAC).
- “Sofortprogramm zur Deckung des IT-Fachkräftebedarfs”. Si veda il rapporto del BMI (2005).
Riferimenti
ARL – Akademie für Raumforschung und Landesplanung (a cura di) (2016), Migration und Raumentwicklung, Positionspapier aus der ARL 105, Hannover [http://nbn-resolving.de/um:nbn:de:0156-01058]; traduzione inglese Migration and Spatial Development pubblicata come Positionspapier 124 nel 2021 [http://nbn-resolving.org/um:nbn:de:0156-01245]
BMFSFJ – Bundesministerium für Familie, Senioren, Frauen und Jugend (a cura di) (1998), Bericht über die Lebenssituation von Kindern und die Leistungen der Kinderhilfen in Deutschland — Zehnter Kinder- und Jugendbericht — mit der Stellungnahme der Bundesregierung, Bundesanzeiger Verlagsgesellschaft mbH, Bonn [https://web.archive.org/web/20101206043201/http://www.bmfsfj.de/doku/kjb/data/download/10_Jugendbericht_gesamt.pdf]
BMI – Bundesministerium des Innern (a cura di) (2005), Migrationsbericht des Bundesamtes für Migration und Flüchtlinge im Auftrag der Bundesregierung, Berlin [https://www.bamf.de/SharedDocs/Anlagen/DE/Forschung/Migrationsberichte/migrationsbericht-2005.html]
Commissione Europea (a cura di) (2016), Urban Agenda for the EU – Pact of Amsterdam – agreed at the Informal Meeting of EU Ministers Responsible for Urban Matters on 30 May 2016 in Amsterdam, The Netherlands [https://futurium.ec.europa.eu/en/urban-agenda/library/pact-amsterdam]
ECTP-CEU (a cura di) (2020) Re-Start Europe. ECTP-CEU declaration for an inclusive and just post-covid future for all communities. Bruxelles 2020 [https://ectp-ceu.eu/ectp-ceu-re-start-europe-manifesto]
Guillet C. e Vilquin C. (2021), L’accueil des migrants – Un jeu d’urbanisme, contributo delle relatrici principali al convegno SFU-CUB “L’accueil des migrants dans les villes et les territoires ? Qu’en est-il en France et en Europe ?”, online, 29 novembre 2021 [https://ectp-ceu.eu/welcoming-migrants-an-urban-planning-issue]
Marossek D. (2012), „Gehst du Bahnhof oder bist du mit Auto?“ Wie aus einem sozialen Stil Berliner Umgangssprache wird: Eine Studie zur Ist-Situation an Berliner Schulen 2009–2010, dissertazione all’Università Tecnica di Berlino [https://depositonce.tu-berlin.de/bitstream/11303/4064.2/6/marossek_diana_v2.pdf]
Marossek D. (2016), Kommst du Bahnhof oder hast du Auto? Warum wir reden, wie wir neuerdings reden, Hanser Berlin, Monaco.
Panayi P. (2010), An Immigration History of Modern Britain: Multicultural Racism since 1800, Pearson Longman, Harlow.
Panayi P. (2020), Migrant City: A New History of London, Yale University Press, New Haven CT.
Zaimoğlu F. (1995), Kanak Sprak – 24 Mißtöne vom Rande der Gesellschaft, Rotbuch-Verlag, Berlino (1ª edizione, edizioni successive anche di altre case editrici).
Vittinghoff G. (2019), Housing Policy in Austria – special reference to Vienna and Graz, contributo al seminario INAP-AETU di pianificazione territoriale europea “The New Urban Agenda: European Experiences”, Madrid, 10 maggio 2019.