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Ripensare il governo del territorio alla luce del cambiamento climatico

Nadia Caruso – UI n. 310 – luglio-agosto 2023     

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Questi ultimi mesi del 2023 sono stati segnati non solo dall’arrivo del caldo estivo ma anche dagli effetti del cambiamento climatico: frane, dissesti, alluvioni, nubifragi e altri eventi che interessano l’ambiente antropico, come roghi e crisi nella distribuzione delle risorse come acqua ed energia. L’Italia, da nord a sud, appare sempre di più come un territorio molto esposto e poco reattivo di fronte a queste emergenze, che assumono un carattere di persistenza e ripetitività, più che quello dell’emergenza temporanea.

Il modello sociale ed economico fondato sul paradigma capitalistico è in crisi e non sembra vi siano tentativi concreti di modificare lo scenario globale. In questa situazione, la pianificazione urbanistica e territoriale con i suoi strumenti appare ancora spesso ancorata alla crescita, incapace di affrontare i problemi più pressanti e le “rivoluzioni” richieste dal cambiamento.

Le riflessioni su calamità e rischi in Italia non sono recenti. Giovanni Urbani già nel 1980, a seguito del terremoto dell’Irpinia, evidenziava come fosse necessario rimettere in discussione la politica economica per affrontare la problematica del dissesto geologico[1]. Ma a una riflessione più approfondita ci si accorge che darne la colpa a chicchessia – Stato, regioni o municipalità –, soddisfa forse il nostro senso morale, ma non ci porta molto avanti nella comprensione, di un fenomeno che, per la sua portata e diffusione su pressoché l’intero patrimonio edilizio storico, mette in causa piuttosto il tipo di civiltà in cui viviamo che determinate istituzioni o leggi.

Se da un lato è necessario un profondo ripensamento della società attuale e del suo funzionamento, evitando facili colpevolizzazioni, dall’altro, appare rilevante accentuare le strategie pianificatorie nella direzione dell’adattamento ai cambiamenti climatici e agli eventi metereologici estremi che ormai si ripetono con frequenza e intensità. Il Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC del 2023 mostra con evidenza la gravità della situazione e l’urgenza di intervenire. Il primo elemento messo in luce dal rapporto evidenzia come l’aumento delle temperature sia già visibile[2] e la soglia stabilita di 1,5° al 2030 potrebbe essere superata se non si interviene velocemente. Questo aumento genererà gravi effetti su ecosistemi e società, con impatti e rischi maggiori e più diffusi. Le temperature sono strettamente legate alle emissioni dei gas a effetto serra delle attività umane nell’atmosfera.

Lavorare sulle aree urbane, e quindi sul governo del territorio, per contenere le emissioni e l’aumento delle temperature, costituisce uno degli assi prioritari su cui intervenire. Da un lato sono necessari interventi di mitigazione, per ridurre considerevolmente le emissioni di anidride carbonica entro il 2030, ma anche di adattamento, al fine di ridurre il rischio di associato agli effetti dei cambiamenti climatici. Gli ambiti d’azione nelle politiche e pratiche di adattamento sono diversi, dalla gestione delle risorse idriche, al miglioramento delle specie agricole e agroforestali, alla diversificazione delle produzioni, all’aumento della copertura verde urbana, al recupero delle aree umide e alla riforestazione, in sinergia con il miglioramento dei sistemi di allertamento e risposta a eventi metereologici estremi.

È evidente come questi ambiti siano strettamente legati alle pratiche di governo del territorio e richiedano un ripensamento delle strategie attuali a 360 gradi. La necessità di cambiamento di prospettiva rispetto alle aree verdi, alla gestione delle acque e al consumo di suolo, (e alle pratiche di consumo in generale) è imprescindibile. Se da un lato, il contenimento del consumo di suolo appare come un obiettivo consolidato all’interno di molti strumenti di pianificazione, è possibile incrementarlo favorendo l’inserimento di alberature e spazi verdi, lavorando anche su tetti e facciate attraverso le tecnologie oggi disponibili.

Fenomeni metereologici estremi come ondate di calore e precipitazioni intense saranno sempre più comuni aumentando le disparità degli impatti sulle popolazioni e sugli ecosistemi. La pianificazione urbanistica e territoriale può quindi supportare una più equa risposta a questi eventi, con una maggiore cura del suo patrimonio costruito (ad esempio, interventi di climatizzazione degli edifici pubblici), ma anche con la tutela del territorio e delle aree verdi (gestione del dissesto idrogeologico, interventi di piantumazione e riforestazione). La predisposizione di rifugi climatici, per esempio, potrebbe fornire protezione a tutte le fasce della popolazione, attenuando le differenze socio-economiche.

Le politiche di mitigazione, invece, ci impongono un diverso uso dell’energia: non solo un cambiamento delle fonti, ma anche del suo uso nella quotidianità. Contenere e risparmiare riciclando e utilizzando fonti rinnovabili, ma anche promuovendo dei cambiamenti nei modi di trasporto e nelle forme di riscaldamento/raffreddamento, tra le pratiche più energivore della nostra società.

Nel dibattito quotidiano questi ambiti d’azione vengono spesso dequalificati e ridotti a priorità politiche, a scelte come altre, sebbene siano esito di evidenze scientifiche e di eventi estremi. Per chi si occupa di pianificazione e governo del territorio costituiscono un terreno di lavoro quotidiano, la risposta ad un bisogno sociale della società, per un miglior rapporto tra lo spazio e il suo uso.

 

[1] https://www.rivistailmulino.it/a/terremoti-e-presenza-del-passato

[2] Il Rapporto IPCC 2023 evidenzia come vi sia stato un incremento di 1,1° confrontando i dati delle temperature tra i decenni 1850-1900 e 2011-2020. Per maggiori informazioni: https://ipccitalia.cmcc.it/