"Il mestiere di Urbanista" Fulvio Forrer - Sentieri Urbani ediz. on line / 2013
Editoriale pubblicato il 13 giugno 2013 in Sentieri Urbani
"Il mestiere di Urbanista" Fulvio Forrer
Il senso
Il concetto di urbanistica nasce attorno alla città, ad un luogo di forte concentrazione antropica per il quale vi è un progetto, una visione per il futuro: la città fortificata, la città mercato, la città rappresentativa, la città industriale, la città dell’espansione edilizia, la città capoluogo, ecc. L’Urbanistica quindi è sempre stata un terreno di visione proiettata al futuro in cui il fattore preminente è lo sviluppo umano, di solito la rappresentazione degli interessi più forti e più grandi che, con una certa approssimazione, possiamo definire “la gestione dell’insieme di oggetti fisici e spaziali che formano l’aggregato urbano” (città o paese che sia) e che possiamo semplificare con la visione preventiva dell’edilizia. Oggi l’urbanistica non si chiama più così in quanto interessa visioni e gestioni che vanno ben oltre l’edilizia e la città e non riguardano solo il costruire edifici, ma sono l’insieme delle attività che vanno sotto il nome di “Governo delle trasformazioni territoriali”. E così ai piani urbanistici in senso stretto (Piani di Coordinamento Territoriale, Piani Regolatori Generali, ecc) si affiancano una miriade di pianificazioni di settore, dalla escavazione di sostanze minerarie alla gestione dei boschi, dalla mobilità ai trasporti, dalle acque all’aria, dai bisogni sociali a quelli economici, fin tanto a interessare strumenti nuovi come la valutazione ambientale (VIA, VAS, VINCA) o quella più economica (Bilanci costi-benefici, Master plan, ecc). Pianificare vuol dire conoscere, interpretare, trovare soluzioni, programmare, organizzare, prevedere e confermare strutture, prevederne di nuove, stimare risorse e bisogni, concordarle, concertarle, definire metodologie, scegliere soluzioni, fissare obiettivi. Oggi invece, soprattutto nella pianificazione urbanistica, l’azione prevalentemente è quella di dispensare valore edificiale, una specie moderna di “mercato delle vacche”: è una visione vecchia che malamente sa costruire passaggi utili alla crescita di comunità ed è limitata alla gestione degli interessi più espliciti.
Gli obiettivi
Per svolgere questa attività in maniera efficace e bene servono quindi idee, adeguate risorse umane (cultura e formazione) e finanziarie, organizzazione sociale e rispetto dei ruoli. L’obiettivo della pianificazione è in fondo quello della razionalità, dell’uso oculato delle risorse, dell’equilibrio nelle opportunità e nelle occasioni, dell’interesse pubblico preminente su quello privato, della sostenibilità degli obiettivi e delle previsioni rispetto alle condizioni e alle possibilità. I soggetti che concorrono a questa pratica sono tanti: la politica con la sua responsabilità di sintesi finale, la tecnica nella ricerca delle soluzioni possibili e auspicabili, gli interessi di categoria nel prospettare necessità e opportunità per raggiungere traguardi, i bisogni di area per una identificazione dei soggetti afferenti ed i fabbisogni sociali per dare stabilità alla comunità e benessere generale. Nell’urbanistica, anche espressa in maniera moderna, deve prevalere la visione, l’obiettivo generale, le soluzioni praticabili in un delicato equilibrio tra componenti e pressioni di lobby, fin tanto ad orientare la politica ed il consenso sociale (approvazione formale) verso soluzioni migliori, strategiche, rivolte al futuro.
Con/correnza e presenze
La pianificazione ha quindi per definizione bisogno di una molteplicità di contributi e di partecipazioni. Fino ad oggi i piani sono stati fatti nel chiuso di stanze politico-professionali “di competenza” aprendosi alla società solo nei momenti di confronto e partecipazione tipici della politica e della vita amministrativa. Il confine tra politica e tecnica è spesso confuso, i portatori di interesse premono politicamente in quanto politicamente si va frequentemente oltre la sintesi e l’azione si trasforma da legittima proposta ad accordo più o meno sotterraneo. Gli interessi d’area sono delegati, per organizzazione politico-amministrativa, agli eletti di quella zona e l’evidenziazione dei bisogni sociali sembra essere scomparsa con l’affievolirsi della stagione contrattual-sindacalista. Tradizionalmente i cittadini vengono di fatto considerati solo per esprimere bisogni personali. È il caso della raccolta preliminare delle segnalazioni di chi vorrebbe costruire, è tipico nell’accettazione delle osservazioni presentate anche (quasi sempre) non nel pubblico interesse. È il prevalere sfacciato delle logiche individuali sulle esigenze di comunità. All’amministrazione rimane in carico la previsione dell’insieme delle necessità sociali, quasi, in una condizione di soggezione per non portare via ai censiti brandelli di proprietà o di iniziativa, spesso di fatto prive di valore economico, ma di elevato valore nel caso di interessi sociali. Sembra assente la percezione che un aggregato ben equilibrato, ben progettato con il suo intorno e ben realizzato comporta poi valori immobiliari e sociali maggiori. E di fronte a tale difficoltà ecco il contributo dei differenti livelli della pianificazione (livelli istituzionali-coerenze e compatibilità) che in un delicato meccanismo di coopianificazione dialettica (l’urbanistica contrattata, indispensabile se alla luce del sole) tutela gli interessi generali e la visione raccordata d’insieme. Peccato che nella realtà locale il Piano di Coordinamento Territoriale del Trentino sia oggi meno strumento di comprensione generale degli assetti lasciando spazi forse troppo ampi e discrezionali alle visioni particolari, di settore, di comparto, anche se per fortuna la nuova organizzazione e i nuovi strumenti informativi territoriali (SIAT) suppliscono adeguatamente a tale carenza.
Questo sistema oggi è gestito politicamente dai livelli istituzionali e da pochi tecnici, per lo più protetti in uffici in cui la gente non capisce cosa si fa, nonché da molti “urbanisti” improvvisati che colgono nell’inserimento di Varianti urbanistiche più o meno consistenti e motivate opportunità di lavoro. Questo modo di fare è superato, servono competenze nuove, specifiche, e metodologie innovative, non solo tecnologiche.
Quale formazione
Evolve la vita ed il mondo e con essa dovrebbero evolvere anche le professioni. Purtroppo in un sistema sociale organizzato a corporazioni e interessi forti tale evoluzione non riesce a compier il suo ciclo naturale: pianificare è in primis conoscere e interpretare la realtà. Servono quindi valide conoscenze e capacità cartografiche, sociali, economiche, degli aspetti fisici della terra, degli equilibri naturalistici e dei fabbisogni antropici. Serve in particolare approfondire gli aspetti dell’ecologia umana, dell’organizzazione sociale e istituzionale, nonché avere solide basi di diritto e chiare motivazioni etiche. Una figura poliedrica che sa di tante cose, ma che per concretezza dobbiamo dire che “altri sanno specialisticamente di più”. Questo non deve essere visto come un limite, ma l’apertura al considerare motivatamente e scientemente la pluralità delle componenti in gioco: è il ruolo stesso della pianificazione generale e di coordinamento. Ed il gioco di squadra è il fattore strategico per raggiungere risultati più elevati sapendo raccogliere indispensabili contributi specialistici: è la multidisciplinarietà nel gioco delle componenti e dei ruoli, ovvero andare oltre la demagogica interdisciplinarietà di chi ritiene di sapere tutto (ogni riferimento è puramente casuale). Voglio soprassedere sull’esistenza di tali figure nel panorama formativo italiano per arrivare ad affermare che servono in modo fondamentale due condizioni: una adeguata considerazione da parte degli Enti dell’importanza di tali figure e l’accettazione da parte delle corporazioni di contribuire in modo significativo con le proprie capacità, superando limitate logiche di accaparramento di spazi professionali, in fondo interstiziali. Varie figure professionali hanno nel loro bagaglio uno degli aspetti importanti dell’urbanistica, ovvero la ricomposizione in un progetto coerente di quadri complessi, ma proprio la specializzazione a componenti fortemente tipizzanti impone che le vicinanze formative sappiano fermarsi alla loro competenza e, che nel caso di sconfinamenti, ciò avvenga previo specifica e consistente ri-formazione professionale o, meglio, attraverso la collaborazione interdisciplinare. Il mondo delle professioni purtroppo non mi sembra pronto ad assumersi tale responsabilità.
Competenze e incompetenze
A fronte del panorama lavorativo trentino, ovvero delle figure attualmente operanti nel settore della gestione delle trasformazioni territoriali, preme evidenziare che la situazione è complessa, così come è molto articolato il settore della pianificazione settoriale. Un dato di sintesi che a me appare evidente è la forte chiusura per settori di competenza: i piani di settore della pubblica amministrazione sono generalmente fatti dagli uffici di competenza con eventuali collaborazioni universitarie di natura specialistica, raramente aperti a contributi multipli o ad approfondimenti che superano i confini strettamente disciplinari, anche quando ciò sarebbe molto opportuno. Gli studi professionali privati a carattere interdisciplinare sono pressoché assenti, nella libera professione la tendenza è quella della esclusività (ovvero, non spartire i guadagni). Ed anche il settore della valutazione ambientale, che per definizione comportava il confronto multidisciplinare, oggi si è impoverito a favore della semplificazione amministrativa e della apertura alle componenti forti del mercato del lavoro. Raramente la pianificazione comunale è fatta da professionisti specificatamente specializzati e frequentemente è fatta da professionisti d’area geografica o politica. In particolare ci sono figure professionali che monopolizzano il mercato, quasi sempre operando in modo esclusivo, testimoniando con ciò in modo inequivocabile la loro necessità di affermazione lavorativa. È il nodo della monocultura e della concentrazione degli affari in poche mani, della falsa concretezza lavorativa per superare i fronzoli; ne fanno le spese la qualità dei lavori, i costi che sono spesso ingiustificati (o non comprensibili) e la percezione comune di trovarsi in una gestione degli interessi generali di bottega, anziché del miglior lavoro possibile. La mediocrità impera e la tecnica, nonché l’etica, spariscono dalla percezione comune: è l’ora di voltare pagine.
In ogni caso una delle doti indispensabili all’urbanista è la pazienza; l’urbanista dispensa all’amministrazione, se in grado, innanzi tutto cultura ed esperienza: cultura della parsimonia (e non semplicistiche nozioni tecniche) ed esperienza nella valutazione degli effetti e delle conseguenze che ogni scelta comporta, ovvero aiuta a valutare e a negoziare. Risponde ai cittadini, se il politico glielo consente, per spiegare le ragioni generali delle scelte, agli interessati argomenta in modo circostanziato quelle valutazione che ai privati possono sembrare discriminatorie o arbitrarie. Infine con gli strumenti propri del piano descrive la struttura e le scelte in modo comprensibile a tutti e democratico, nel peno rispetto del proprio ruolo, senza mai interferire con la dialettica politica, sale del nostro sistema politico. Non è teoria, è capacità ed equilibrio propria del professionista abile ed esperto; un requisito indispensabile per fare buoni piani.
Con un giudizio evidentemente più moderato la stessa Provincia autonoma di Trento, conscia di tali difficoltà e consapevole dei fallimenti precedenti, ha assunto in proprio questo nuovo onere formativo: «La Provincia realizza programmi di formazione e aggiornamento permanente in materia di pianificazione territoriale e di paesaggio avvalendosi della società per la formazione permanente del personale prevista dall’articolo 35 della legge provinciale n. 3 del 2006». Appare evidentemente superfluo commentare l’entrata in campo diretto delle Provincia, ma il gap tra quanto ottenuto in termini culturali dagli anni settante ad oggi in Alto Adige-Südtirol e quanto fatto invece in Trentino rende evidente la necessità di un profondo cambiamento. Non è detto che l’alta scuola di formazione Pat possa essere esaustiva per tutti, ma certamente potrà rendere il panorama dei responsabili operativi delle Comunità di valle più omogeneamente formati e preparati. Ma soprattutto preme caldeggiare un nuovo atteggiamento da parte di tutti i professionisti, operatori dell’Ente pubblico o nel privato: aprirsi al confronto, alla visione multidisciplinare e saper fare sintesi non dall’alto della propria prevalenza, ma alla luce degli utili apporti che dalle altre figure professionali possono venire, arricchendo di soluzioni e di dettagli. Ciò vale anche per i processi di partecipazione popolare che per essere produttivi necessitano di strutturazione ed operatività (quindi specifica formazione), solo così l’urbanistica potrà avvicinarsi ai cittadini senza venir travolta dagli interessi insistenti di chi sa puntare i piedi o di chi sa operare sottobanco. La democrazia più partecipata può essere costruita.
(febbraio 2011)
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