Il Piano Paesistico Regionale (PPR) del Friuli Venezia Giulia – Commento alle norme tecniche di attuazione
di Daniele Rallo*, con postfazione di Sandro Fabbro**
Introduzione
Il Piano paesaggistico della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia è stato approvato con Decreto del Presidente della Regione del 24 aprile 2018, n. 0111/Pres e pubblicato sul Supplemento ordinario n. 25 del 9 maggio 2018 al Bollettino Ufficiale della Regione n. 19 del 9 maggio 2018. È efficace dal 10 maggio 2018.
La Regione Friuli Venezia Giulia si è posta con questa approvazione alla avanguardia delle regioni italiane. La prima è risultata la Sardegna (2006, Governatore Renato Soru, Comitato scientifico coordinato da Edoardo Salzano) con un piano stralcio che riguardava solamente i comuni della costa ma che di fatto ora viene seguito da tutti gli enti locali. I comuni devono infatti rifare la loro strumentazione urbanistica, mediamente degli anni ’70-80 (in parecchi casi è vigente ancora il Piano di Fabbricazione) “in adeguamento al PPR e al Piano di Assetto Idrogeologico PAI.
In seconda battuta sono stati approvati i piani della Regione Toscana e della Regione Puglia. Entrambi i Piani sono stati approvati quando l’Assessorato al Territorio era diretto da un urbanista della Scuola di Preganziol: Anna Marson per la Toscana, Angela Barbanente per la Puglia. Entrambi i Piani hanno dato il via, assieme a rinnovate leggi di governo del territorio, a una nuova urbanistica che si sta concretizzando in nuova strumentazione comunale.
Anche con il PPR del Friuli Venezia Giulia si è attivato un nuovo processo di formazione di strumenti urbanistici comunali che partendo dalla valenza paesaggistica però modificano e integrano le prescrizioni di zoning e adeguano la norma, prescrizioni e cartografia, delle strategie inserite nel piano comunale.
Il PPR obbliga i Comuni a redigere ed approvare un nuovo Piano in adeguamento allo strumento regionale. L’art. 13 specifica che “I Comuni conformano e adeguano i propri strumenti urbanistici generali alle previsioni del PPR entro due anni dalla sua entrata in vigore”. Tale data come succede in questi casi non è stata ovviamente non è stata rispettata. Dopo due anni di sperimentazione entra ora nel vivo il lavoro per gli urbanisti e per i Comuni che si devono dotare della Variante al piano comunale. La costruzione della Variante è tecnicamente abbastanza veloce da redigere. Molto più complicata è la gestione della co-pianificazione con tutti gli uffici (urbanistica, Vinca, agronomia, ecologia, idro-geologia, ecc.) e gli enti (Soprintendenza in primis) preposti alla approvazione. Non vi è una storia e un percorso predefinito per cui i casi che sono arrivati alla approvazione definitiva sono ancora poche unità.
Il presente commentario prende in considerazione alcuni articoli delle Norme Tecniche di Attuazione. La scelta è stata attuata dal curatore. Per ogni articolo è stato inserito il nominativo dell’autore. Il commento è stato anticipato dal testo di legge.
Indice
Art. 4 Elaborati
Art. 13 Conformazione degli strumenti urbanistici alle previsioni del PPR
Art. 16 Ambiti di paesaggio
Art. 42 Rete ecologica
Art. 45 Strumenti di attuazione del livello locale della rete e misure incentivanti
Art. 47 Paesaggi rurali storici
Art. 48 Paesaggio montano
Art. 49 Paesaggio costiero
Art. 50 Linee guida
Art. 51 Accordi
Art. 52 Contratti di fiume
Art. 53 Progetti integrati di paesaggio
Art. 54 Misure incentivanti
Art. 4 - Elaborati
1. Il PPR è costituito dai seguenti elaborati:
a) Relazione generale
b) Norme Tecniche di Attuazione
Allegati:
1. Schede delle zone di interesse archeologico e ulteriori contesti
2. Abaco dei morfo-tipi
3. Abaco delle aree compromesse e degradate
4. Schede dei Poli di alto valore simbolico
5. Schede dei Siti inclusi nella lista del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco
c) Schede degli Ambiti di Paesaggio
AP 1 – Carnia
AP 2 – Val Canale, Canal del Ferro, Val Resia
AP 3 – Alte valli occidentali
AP 4 – Pedemontana occidentale;
AP 5 – Anfiteatro morenico;
AP 6 – Valli orientali e Collio;
AP 7 – Alta pianura pordenonese;
AP 8 - Alta pianura friulana e isontina;
AP 9 – Bassa pianura pordenonese;
AP 10 – Bassa pianura friulana e isontina;
AP 11 – Carso e costiera orientale;
AP 12 – Laguna e costa
d) Beni paesaggistici e ulteriori contesti paesaggistici
Relazione metodologica.
Schede dei beni dichiarati di notevole interesse pubblico
Schede delle aree tutelate per legge e ulteriori contesti
e) Reti strategiche:
1. Scheda della Rete Ecologica
Allegati:
a) Cartografia 1:150.000
TAV.1 Carta usi del suolo della RER
TAV.2 Carta delle barriere infrastrutturali della RER
TAV.3 Carta della densità degli ambienti naturali della RER
TAV.4 Cartografia della RER
2. Scheda della Rete dei Beni culturali
Allegati:
a) Schede dei Beni culturali di Livello 3
b) Cartografia 1:150.000
3. Scheda della Rete della Mobilità Lenta
Allegati:
a) Cartografia 1: 50.000 e 1:150.000
Tav. 1. La Rete regionale della mobilità. Stato di fatto 1:150.000
Tav. 2. Il sistema regionale della Mobilità lenta. Carta di progetto 1:150.000
Tav. 3.1 Direttrice 1 1:50.000
Tav. 3.2 Direttrice 2 1:50.000
Tav. 3.3 Direttrice 3 1:50.000
Tav. 3.4 Direttrice 4 1:50.000
f) Linee guida
- per il Turismo sostenibile
g) Vademecum
- per l’individuazione delle zone “A” e “B” al 6 settembre 1985
- per l’individuazione della Rete ecologica alla scala locale
h) Elaborati cartografici
Analisi e interpretazione
- carta dei caratteri idro-geo-morfologici 1:150.000;
- carta dei caratteri ecosistemici, ambientali e agrorurali 1:150.000;
- carta delle infrastrutture viarie e della mobilità lenta 1: 150.000;
- carta della partecipazione 1:150.000;
- carta degli ecotopi 1:150.000;
- carta delle aree compromesse e degradate 1:150.000;
- carta delle dinamiche dei morfotipi agro-rurali 1:150.000;
- carta delle permanenze del sistema insediativo (morfotipi insediativi) 1:150.000;
- carta delle previsioni della viabilità di primo livello 1:150.000;
Piano
- carta Beni paesaggistici e ulteriori contesti 1:50.000;
- carta Parte strategica - Reti 1:50.000
i) Rapporto ambientale di VAS
l) Indicatori di piano
2. Gli elaborati cartografici del PPR si basano su strati informativi in formato digitale. Attraverso tali strati è possibile costruire strumenti di consultazione interattivi per il PPR. Gli strati informativi presentano diverso grado di precisione (1:50.000, 1:100.000, 1:5.000), in funzione delle fonti utilizzate per la costruzione delle informazioni in essi contenute. La specifica scala di consultazione viene indicata nel metadato del singolo strato informativo. La cartografia in formato vettoriale è consultabile:
a) dal WebGIS del portale RegioneFVG:
http://webgis.simfvg.it/qdjango/projects/consultazione-cdo-ppr-fvg/view/
b) da IRDAT
http://irdat.regione.fvg.it/WebGIS/GISViewer.jsp?template=configs:ConfigMAAS/Paesaggio.xml
3. Gli strati informativi sono consultabili anche mediante servizio Web Mapping Server (WMS), scaricabili mediante servizio Web Feature Service (WFS) e visualizzabili con i software che utilizzano tali standard internazionali (ad es. Geomedia, Qgis, GvSIg ADB-Toolbox). Il servizio è pubblicato al link http://webgis.simfvg.it/wms_ppr/bozza-ppr? che deve essere copiato e inserito nello strumento di consultazione WMS e WFS.
Il PPR è formato da circa 100 elaborati tra Relazioni, Schede, Cartografie. L’indice è strutturato per ordine di importanza degli elaborati riassunti negli elaborati progettuali canonici: la Relazione Illustrativa, le Norme Tecniche di Attuazione, le tavole alle varie scale. Gli elaborati cartografici sono stati tutti costruiti su strati informativi consultabili direttamente dal sito della Regione. La consultazione informatica è interattiva e permette ai comuni e ai loro professionisti di interagire direttamente per la stesura della Variante di adeguamento. L’articolo non specifica quali elaborati siano prescrittivi e cogenti e quali semplicemente interpretativi o di analisi generale. Per capire il grado di prescrizione e di direttiva bisogna entrare nel merito di ogni singolo tematismo e di ogni singolo elaborato di relazione o di cartografia. In questo modo il PPR assume valore “cogente” nel suo complesso anche se più o meno diretto. Non vi sono parti da sottovalutare e parti o temi da considerare in quanto obbligatorio per norma.
Analizzando l’indice nel dettaglio gli elaborati sono raggruppati in 10 categorie cosi suddivise:
a) Relazione generale
b) Norme Tecniche di Attuazione
c) Schede degli Ambiti di Paesaggio
d) Beni paesaggistici e ulteriori contesti paesaggistici
e) Reti strategiche
f) Linee guida
g) Vademecum
h) Elaborati cartografici
i) Rapporto ambientale di VAS
l) Indicatori di piano
(Daniele Rallo)
Art. 13 - Conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni del PPR
1. I Comuni conformano e adeguano i propri strumenti urbanistici generali (strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale) alle previsioni del PPR entro due anni dalla sua entrata in vigore, in coerenza con i termini previsti dall’articolo 145, comma 4, del Codice, con le procedure di cui alla legge regionale 25 settembre 2015, n. 21 (Disposizioni in materia di varianti urbanistiche di livello comunale e contenimento del consumo di suolo).
2. Per i Comuni che hanno aderito alle Unioni territoriali intercomunali (UTI) di cui alla legge regionale 12 dicembre 2014, n. 26 (Riordino del sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia. Ordinamento delle Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative), la conformazione e adeguamento avvengono attraverso l’esercizio in forma associata della funzione di programmazione e pianificazione territoriale di livello sovracomunale, nei casi di cui agli articoli 26, commi 2 e 3, e 28 della medesima legge regionale e secondo le modalità previste dai rispettivi statuti.
3. In attesa dell’emanazione della legge regionale che disciplini i contenuti e le procedure della pianificazione territoriale di livello sovracomunale di competenza delle UTI, si applicano le disposizioni di cui al comma 1.
4. Decorso il termine di cui al comma 1, i Comuni, i cui strumenti urbanistici generali non siano stati conformati o adeguati al PPR, possono procedere alla redazione di nuovi piani urbanistici generali o loro varianti solo se contenenti contestualmente l’adeguamento al PPR.
5. Per le varianti che non interessano beni paesaggistici non trova applicazione la disciplina di cui al comma 4.
6. In ogni caso, gli strumenti urbanistici attuativi, le loro varianti e le varianti agli strumenti urbanistici generali, ivi compresi quelli derivanti da accordi di programma, all’interno dei quali ricadono beni paesaggistici, possono essere approvati in conformità e adeguamento al PPR.
Qualora la conformazione o l’adeguamento degli strumenti urbanistici attuativi e delle loro varianti si pongano in contrasto con lo strumento urbanistico generale, i medesimi possono essere approvati previo adeguamento dello strumento urbanistico generale al PPR.
7. L’Ente territoriale competente redige la proposta di adeguamento dello strumento urbanistico di cui al comma 4 e convoca una conferenza di servizi decisoria in modalità sincrona ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241, (Nuove norme sul procedimento amministrativo), disciplinata dall’articolo 14.
Tempi
L’articolo detta i tempi e la modalità per i comuni per adeguare o conformare la strumentazione urbanistica di loro competenza. La data di adeguamento è fissata in due anni dalla entrata in vigore del PPR (maggio 2018), cioè entro maggio 2020. Ancorché non si tratta di una data prescrittiva i comuni sono avvertiti, al comma 6, che i piani attuativi o le varianti ai piani attuativi o le varianti al piano generale non possono essere approvati qualora non ci fosse tale adeguamento o conformazione. Non solo. I comuni che vorranno procedere con nuovi piani potranno farlo solo se contestualmente faranno l’adeguamento o la conformazione. Scegliendo questa ultima ipotesi i comuni possono quindi dilatare i termini di adeguamento o conformazione sino a che riterranno opportuno, cioè fino a che non sarà necessario modificare il piano generale, ferma restando la immodificabilità dei piani attuativi.
Modalità
I comuni hanno due possibilità per modificare i propri piani regolatori: l’adeguamento o la conformazione. Non essendo specificata la differenza all’interno del dispositivo normativo si deve procedere con il principio di ragionevolezza ovvero facendo ricorso al vocabolario della lingua italiana. Per adeguamento si intende una operazione che partendo dalle previsioni del PPR interpreta e modifica il proprio piano aggiornandolo sulle previsioni in riferimento ai temi ambientali e paesaggistici richiamati dal piano regionale. Viceversa per conformazione si intende una operazione che prende in toto le valutazioni del PPR e le “fotocopia” sul proprio piano comunale. Ammesso che questa possa essere una interpretazione condivisa si pone immediatamente una difficoltà interpretativa incrociando la lettura dell’art.5 sulla “normativa d’uso” in cui si specifica che la stessa si articola in quattro punti: indirizzi/direttive, prescrizioni, misure di salvaguardia, linee guida. Solo le seconde e le terze sono cogenti, le altre non sono vincolanti. Sia le prescrizioni sia le misure di salvaguardia fanno parte del piano adeguato e conformato. Mentre gli indirizzi e le linee guida si dovrebbero trovare nel piano “adeguato”. Le “linee guida” che “orientano attività e interventi di trasformazione territoriale” sono fondamentali per la parte progettuale in quanto “possono modificare in maniera significativa il paesaggio” sono normate sia all’art. 5 (comma 6) sia all’art. 49. In questo si specifica che le Linee Guida saranno emanate entro il 2019 (un anno dall’entrata in vigore del PPR). Sino a quella data si può far riferimento alle Linee Guida emanate dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
Ma la progettazione della variante di adeguamento deve tener conto anche degli “Ambiti di Paesaggio” di cui all’art.16. Tutto il territorio regionale è stato suddiviso in 12 ambiti di paesaggio omogenei dal punto di vista morfologico. Ad ogni ambito corrisponde una somma di comuni. Per ogni ambito vi è una disciplina d’uso articolata in indirizzi e direttive.
La Variante di Piano può essere anche attuata dalla somma di comuni che fanno parte dell’Unione Territoriale Intercomunale in forma associata.
Procedura
L’art. entra anche nel merito delle procedure di adozione e approvazione della variante di adeguamento o di conformazione rimandando alla legge regionale urbanistica (n.21/2015) a cui si aggiunge, però, la partecipazione degli “organi del Ministero”. Le modalità di approvazione passano attraverso una Conferenza di Servizi (art.14) secondo le norme del procedimento amministrativo cioè la Legge 241/1990. La Regione esplicita il comma “assicura la partecipazione dei competenti organi del Ministero” alla Conferenza di Servizi.
Le procedure di adozione/approvazione sono fissate dagli artt. 8 e 9 della legge urbanistica rgionale. Il primo riguarda i piani comprensivi di piano struttura, il secondo i comuni senza piano struttura. In ogni caso l’iter procedurale è il medesimo (commi da 1 a 8 dell’art.8). Il piano viene adottato con delibera di consiglio comunale, seguono le Osservazioni e le Controdeduzioni. Prima della approvazione il Comune interpella la struttura ministeriale qualora siano presenti beni vincolati per raggiungere eventuali intese su destinazioni d’uso per tali beni (Decreto legislativo 22.1.2004, n.42, art.10). La Variante di adeguamento o di conformazione deve invece essere sottoposta alla approvazione in Conferenza di Servizio decisoria alla presenza o al parere ministeriale vincolante (art.145, comma 5 del Codice). La conferenza viene indetta dal Comune e la Regione “assicura la partecipazione degli organi ministeriali”. Il Ministero può ritenere non idonea la proposta presentata dal comune e invitarlo a produrre una ulteriore nuova proposta. Ovvero può approvare con modifiche.
Art.16 - Ambiti di paesaggio
1. Il territorio regionale è articolato, ai sensi dell’articolo 135 del Codice, nei seguenti dodici Ambiti di paesaggio:
AP 1 – Carnia
AP 2 – Val Canale – Canal del Ferro – Val Resia
AP 3 – Alte Valli Occidentali
AP 4 – Pedemontana Occidentale
AP 5 – Anfiteatro morenico
AP 6 – Valli Orientali e Collio
AP 7 – Alta pianura pordenonese
AP 8 – Alta pianura friulana ed isontina
AP 9 – Bassa pianura pordenonese
AP 10 – Bassa pianura friulana ed isontina
AP 11 – Carso e costiera orientale
AP 12 – Laguna e costa
2. Gli ambiti di paesaggio sono individuati attraverso la valutazione integrata di una pluralità di fattori, quali:
a) I fenomeni di territorializzazione affermati nella storia di cui permangono i segni
b) I caratteri dell’assetto idrogeomorfologico
c) I caratteri ambientali ed ecosistemici
d) Le figure territoriali di aggregazione dei morfotipi
e) Gli aspetti identitari e storico culturali
f) L’articolazione amministrativa del territorio e i relativi aspetti gestionali .
3. A ciascun ambito corrisponde la scheda e la relativa cartografia di progetto in scala 1:50.000.
4. Ciascuna scheda d’ambito individua, ai sensi dell’articolo 135, commi 2, 3 e 4 del Codice, le caratteristiche paesaggistiche dell’ambito di riferimento, gli obiettivi di qualità paesaggistica e la disciplina d’uso ed è composta da quattro sezioni:
a) Descrizione dell’ambito
b) Interpretazione strutturale
c) Obiettivi di qualità paesaggistica
d) Disciplina d’uso
5. Le sezioni a ) e b) di cui al comma 4 individuano gli aspetti e i caratteri peculiari, nonché le specifiche caratteristiche di ciascun ambito e riconoscono i conseguenti valori paesaggistici, le criticità e le forme dei luoghi riconducibili a morfotipi. La sezione c) di cui al comma 4 riporta gli obiettivi di qualità paesaggistica ricavati dalle sezioni a) e b), coerenti con gli obiettivi strategici del PPR. La disciplina d’uso di cui alla lettera d), articolata in indirizzi e direttive, è riferita all’intero ambito, agli ecotopi di cui all’articolo 42 o ai morfotipi riconosciuti all’interno dello stesso.
6. Gli strumenti urbanistici generali e di pianificazione di settore approfondiscono le analisi contenute nelle schede di ambito relativamente al territorio di riferimento e specificano, in coerenza con gli obiettivi di qualità e in conformità alla disciplina d’uso, le azioni e i progetti necessari all’attuazione del PPR.
Tutto il territorio della regione attraverso una valutazione integrata dei fattori ambientali, storici ed identitari è stato suddiviso in 12 Ambiti territoriali omogenei. Ogni ambito comprende 20-30 comuni. I perimetri dei comuni amministrativi sono in prevalenza inseriti all’interno di un singolo ambito, ma vi sono anche casi (pochi) che rientrano per porzione in ambiti diversi. Vince la morfologia del paesaggio sulla gestione. Per ogni Ambito il PPR ha prodotto un allegato tecnico sostanzioso di analisi e di linee progettuali che diventa il primo supporto per gli enti locali che devono adeguare il proprio strumento urbanistico. Il comma 6 dell’art. in questione costituisce una prescrizione-direttiva per gli enti locali. I comuni devono redigere le Varianti di adeguamento approfondendo le analisi contenute nelle schede d’ambito e specificare la progettualità e la disciplina per l’attuazione del PPR. La Scheda d’Ambito è quindi lo strumento base da cui partire per redigere la Variante ad hoc.
La Scheda d’Ambito è composta da quattro sezioni.
La prima (Descrizione dell’Ambito) di analisi delle caratteristiche morfologiche del paesaggio e del territorio ma anche dei caratteri evoluti del sistema insediativo e infrastrutturale.
La seconda (Interpretazione strutturale) di individuazione delle invarianti strutturali e delle dinamiche della trasformazione. In essa si trovano anche le aree compromesse e degradate. Infine vi è una analisi di valori e criticità (swot) che precede la parte propositiva.
Nella terza (Obiettivi di qualità paesaggistica) sono infatti fissati gli obiettivi di qualità suddivisi per le tre reti fondamentali e strutturanti lo stesso PPR: la reta ecologica, la rete dei beni culturali, la rete della mobilità lenta.
La parte quarta (Disciplina d’uso) da indicazioni per la normativa di attuazione delle Varianti. La disciplina d’uso è articolata in indirizzi e direttive. Maggiore attenzione è posta alla rete della mobilità lenta per la sua attuazione facendo riferimento agli elaborati cartografici prodotti all’interno dello stesso PPR. All’interno della disciplina d’uso è individuato anche un altro elemento strategico: l’abaco dei morfo-tipi. Due grandi categorie sono rappresentate: i tipi insediativi (tessuti storici e tessuti contemporanei) e i tipi agro-rurali. I primi sono dettagliati tra tessuti storici originari, di fondazione, fortificati/difesi, e contemporanei a bassa densità, commerciali polarizzati o lineari, ecc. I secondi come rurali di pianura, di riordini fondiari, delle colture legnose, dei campi chiusi, dei magrebi, ecc. Per ciascun tipo vi è una scheda che fissa la definizione, la descrizione, le varianti localizzative, i valori, le criticità, gli obiettivi di qualità paesaggistica e gli indirizzi/direttive.
(Daniele Rallo)
Art. 42 - Rete ecologica
1. La Rete ecologica del PPR è un sistema interconnesso di paesaggi di cui salvaguardare la biodiversità e si struttura nella Rete ecologica regionale e nelle Reti ecologiche locali.
2. La Rete ecologica regionale (RER), con riferimento all’intero territorio regionale, individua i paesaggi naturali, seminaturali, rurali e urbani ai fini della conservazione, del miglioramento e dell’incremento della qualità paesaggistica e ecologica del territorio regionale, e definisce strategie per il potenziamento delle connessioni ecologiche.
3. La RER riconosce per ogni ambito di paesaggio del PPR unità funzionali denominate “ecotopi”, per i quali le schede di ambito di paesaggio definiscono indirizzi e direttive da recepire da parte degli strumenti di pianificazione, programmazione e regolamentazione. Gli ecotopi sono individuati in base alla funzione prevalente in:
a) core area, corrispondenti alle aree naturali tutelate ai sensi della legge regionale 30 settembre 1996, n. 42, “Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali” e delle direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE ;
b) connettivi lineari su rete idrografica, costituiti dai collegamenti lineari, corrispondenti ai corsi d’acqua e al relativo paesaggio fluviale, dove la funzionalità ecologica è determinata dalla presenza di vegetazione ripariale;
c) tessuti connettivi rurali, propri degli Ambiti di paesaggio AP 3, AP 5, AP 6, AP 7, AP 8, AP 9, AP 10, AP 11 e AP 12, costituiti da una rete densa di elementi caratterizzanti del paesaggio rurale, quali ad esempio siepi, filari alberati, capezzagne inerbite, vegetazione del reticolo scolante delle bonifiche; detti elementi possono essere presenti nei morfotipi di cui all’articolo 17, comma 2, lettere o), p), q), r) e s);
d) tessuti connettivi forestali, propri degli Ambiti di paesaggio AP1, AP2, AP 3, AP 4 e AP 6, e costituiti da ampie aree boscate che formano un tessuto denso e continuo, all’interno dei quali possono essere rinvenuti i prati e i pascoli di cui al morfotipo t) dell’articolo 17, comma 2;
e) connettivi discontinui, costituiti da aree in cui sono presenti ambienti naturali o seminaturali di minori dimensioni che funzionano come punto di appoggio e rifugio per gli organismi mobili, purché la matrice posta tra un’area e l’altra non costituisca barriera invalicabile.
f) aree a scarsa connettività, costituite da vaste aree antropizzate, che ostacolano e riducono significativamente la possibilità di movimento e di relazione delle specie.
4. Gli ecotopi sono rappresentati nella cartografia delle schede degli ambiti di paesaggio 1:150.000, consultabile e scaricabile in formato vettoriale con le modalità di cui all’articolo 4 commi 2 e 3.
5. Il PPR definisce le strategie di progetto delle RER nella scheda di rete e nella cartografia 1:50.000 “Parte Strategica – reti”.
6. La rete ecologica locale (REL) è individuata dagli strumenti di pianificazione urbanistica generale con le metodologie di cui al “Vademecum Rete Ecologica Locale”, in coerenza con gli indirizzi e direttive indicati nelle schede di ambito di paesaggio, nonché le strategie di progetto di cui al comma 5, ed esprime le scelte dell’ente territoriale.
7. La REL si compone di:
a) nodi, costituiti dagli habitat naturali e seminaturali, con caratteristiche sufficienti per poter mantenere nel tempo popolazioni vitali delle specie faunistiche e floristiche importanti per la conservazione della biodiversità;
b) corridoi ecologici, costituiti dai collegamenti, continui o discontinui, per il passaggio da un nodo all’altro di individui delle specie faunistiche e floristiche importanti per la conservazione della biodiversità;
c) fasce tampone, con la funzione di mitigare gli effetti dei fattori di disturbo verso i nodi e i corridoi ecologici.
8. Gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale disciplinano gli interventi di conservazione, potenziamento e nuova realizzazione degli elementi che compongono la REL, con particolare riferimento alle aree interessate da processi di artificializzazione e alterazione delle componenti valoriali del paesaggio naturale, seminaturale e rurale.
9. Gli enti territoriali, nella progettazione e successiva realizzazione della REL, nelle aree non costituenti core area, possono discostarsi dai perimetri degli ecotopi e dalle relative norme della RER qualora l’analisi territoriale preliminare alla definizione della REL giustifichi una diversa disciplina migliorativa delle funzioni ecologiche rispetto a quella individuata nella RER.
Uno degli elementi più importanti del piano è sicuramente rappresentato dalla Rete ecologica, che assieme alle altre reti (beni culturale, mobilità lenta) caratterizzino lo strumento con valenza paesistica.
La rete ecologica è un insieme di paesaggi e spazi aperti prevalentemente non antropizzati che deve essere mantenuto il più possibile integro ai fini della salvaguardia del paesaggio e degli elementi di flora e fauna che contraddistinguono la biodiversità.
Il riferimento esplicito è alle direttive europee comunemente ricordate come Direttiva Uccelli e Direttiva Habitat. Le specie caratterizzanti un territorio sono individuate all’interno di un habitat. La rete deve servire per mantenere le aree di trasmigrazione degli uccelli e degli altri animali.
Il Piano ha individuato in apposita cartografia la Rete Ecologica Regionale (RER) e ha definito le strategie per il suo mantenimento. La RER è definita ulteriormente per Ambito di Paesaggio, le Schede specifiche di cui all’art. 16, in cui ha riconosciuto unità funzionali denominate “ecotopi”.
Questi sono classificati in quattro categorie naturali: a) le aree naturali a parco o “core area”, b) la rete idrografica o “connettivi lineari”, c) i tessuti “connettivi rurali”, d) i tessuti connettivi “forestali”. A queste sono aggiunte due categorie che interrompono o disturbano la continuità naturale: a) i “connettivi discontinui” e b) le aree antropizzate a “scarsa connettività”.
Alla rete regionale (RER) si aggiunge e si deve inter-connettere la Rete Ecologica Locale (REL). Gli enti locali in sede di pianificazione urbanistica devono individuarne le caratteristiche e proporre una progettazione.
Gli interventi proposti per una successiva realizzazione devono essere disciplinati e normati all’interno della Variante di adeguamento. L’obiettivo è la conservazione, il potenziamento e la valorizzazione di tutte le componenti di valore del paesaggio naturale, semi-naturale e rurale.
La REL deve essere individuata e classificata secondo tre elementi principali: a) i “nodi”, cioè gli habitat naturali riconoscibili e che devono essere mantenuti nel tempo, b) i “corridoi ecologici”, cioè il collegamento per il passaggio da un nodo all’altro delle specie faunistiche e floristiche, c) le “fasce tampone” quale elemento di mitigazione tra paesaggio naturale e paesaggio prevalentemente antropizzato.
Data l’importanza del tematismo, fondamentale per la attuazione del piano paesaggistico la normativa è stata ulteriormente esplicitata rimandando alle linee guida del “Vademecum Rete Ecologica Locale”. Tale testo aiuta ed indirizza i Comuni, singoli o associati, nella traduzione delle strategie regionali fissando una metodologia di analisi e di progetto. Il Vademecum fissa criteri e metodi per l’analisi preliminare, per la definizione della REL e per la messa a coerenza della REL con la strumentazione tecnica del Piano paesistico. La parte di analisi ovvero di individuazione della REL è strettamente correlata all’utilizzo dei data-base informativi georeferiti. Il primo step è l’individuazione degli habitat. Il secondo step la scelta delle “specie target” con l’utilizzo della classificazione standard (la legenda) proposta dalla regione e adattata al caso di specie. Il terzo step, pre-progettuale, è l’individuazione di “nodi” e “corridoi” quali elementi strutturali e strutturanti la rete.
La Regione in questo modo non si limita a dare obiettivi generici ma mette a disposizione di comuni e progettisti, uno strumento ed un percorso per arrivare facilmente alla coerenziazione tra le reti regionali e reti locali. Spetta ai comuni la parte progettuale vera e propria con l’indicazione specifica della disciplina di salvaguardia ma anche, soprattutto, di valorizzazione di questa parte di territorio.
La Variante di adeguamento diventa il punto nodale della applicazione strategica del piano. Strumento urbanistico che deve essere vidimato in co-pianificazione con Regione e struttura ministeriale (cfr. art.14).
(Daniele Rallo)
Art 47 - Paesaggi rurali storici
1. Il PPR riconosce i seguenti paesaggi rurali storici inseriti nel "Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”.
I. Alture di Polazzo nel Carso
II. Campagne di Plasencis
III. Colle dell’Abbazia di Rosazzo
IV. Foresta di Ampezzo e Vallata del Lumiei
V. Magredi di Vivaro
2. Sulla base dei criteri di cui al Decreto n. 17070/2012 del Ministero per le Politiche Agricole,
Alimentari e Forestali, possono essere riconosciuti ulteriori paesaggi rurali storici, tenendo conto dei tipi agro-rurali riconosciuti come morfotipi, ai sensi dell’articolo 17.
La definizione dei paesaggi rurali storici è assai recente anche se si confronta con il temi della pianificazione fino dal nascere della disciplina paesaggistica. La legge Rava (1907) per la Pineta di Ravenna tutelava i luoghi per il valore “storico” che gli stessi assumevano nell’esperienza letteraria di Dante. La legge del 1922 riconosceva il valore paesaggistico a territori che avevano un «particolare valore storico» o erano celebri per essere stati il fondale di importanti fatti di «storia civile e letteraria». Per esempio l’idea di vincolare tutto il Carso goriziano come un paesaggio della memoria attraversò il dibattito del primissimo dopoguerra fino alla decretazione dei vincoli per le cime del M. San Michele e del M. Sabotino.
La legge n.1497 del 1939 introduceva un carattere apparentemente diverso per individuare le tutele rilevando e proteggendo “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”. La storia si fondeva nella tradizione in una definizione estetica dei paesaggi nel loro rapporto con il tempo. Una definizione influenzata da una lettura romantica delle forme territoriali che interpretava il paesaggio come un ambiente complesso di segni depositati nel lungo periodo.
Successivamente l’importante volume di Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano (1956) pose una forte attenzione anche al ruolo assunto dal paesaggio costruito dall’agricoltura, influenzando in modo determinante la successiva percezione paesaggistica dei territori aperti.
L’articolo in oggetto, invece, si rifà a una lettura più recente del tema e al tentativo espresso dal Ministero dell’Agricoltura di promuovere una catalogazione dei paesaggi rurali che hanno un rapporto diretto con la storia. Il tentativo di istituzionalizzare questo approccio ai paesaggi dell’agricoltura è passato attraverso il tentativo di apprestare un “catalogo nazionale” predisposto dal Ministero dell’Agricoltura. Nel 2010 Mauro Agnoletti riceveva l’incarico per coordinare una prima ricerca che per l’ambito friulano fu coordinata dal prof. Furio Bianco e condotta da Claudio Lorenzini. In quell’occasione furono riconosciuti, tra i molti, cinque paesaggi da considerare esemplari. Questi cinque paesaggi storici sono citati nell’articolo delle N.T.A., ma non è chiaro come possano creare approcci al paesaggio diversi da quelli delle altre aree agricole.
L’articolo precisa come oltre ai cinque paesaggi individuati possano “essere riconosciuti ulteriori paesaggi rurali storici, tenendo conto dei tipi agro-rurali riconosciuti come morfotipi, ai sensi dell’articolo 17”. In questo caso i paesaggi dovranno essere proposti al Registro Nazionale. Resta però poco chiaro come si possa partire da morfotipi che sono decisamente generici, vasti e qualche volta moderni come i riordini fondiari e le bonifiche.
(Moreno Baccichet)
Art 48 - Paesaggio montano
1. Il PPR riconosce i paesaggi montani quale espressione materiale e visibile degli aspetti dei caratteri e dell’identità dei territori montani come classificati dalla legge regionale 20 dicembre 2002, n. 33 (Istituzione dei Comprensori montani del Friuli Venezia Giulia).
2. La Regione promuove il recupero dei terreni incolti o abbandonati nei territori montani quale strategia prioritaria per la valorizzazione del paesaggio montano, attraverso le azioni previste dalla legge 4 agosto 1978, n. 440 (Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate) e la legge regionale 16 giugno 2010, n. 10 (Interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani).
3. Si considerano abbandonati o incolti, ai sensi dell’articolo 86, comma 3 della legge regionale n. 9/2007:
a) i terreni agricoli che non siano stati destinati a uso produttivo da almeno tre anni;
b) i terreni boscati catastalmente individuati come pascoli, prati o seminativi che non siano stati oggetto di attività selvicolturali di cui all'articolo 14, comma 1, lettera a), da almeno venti anni;
c) i terreni montani rimboschiti artificialmente sui quali non siano stati attuati interventi colturali di sfollo o di diradamento da almeno venti anni.
4. Il Quadro Conoscitivo del PPR contiene uno strato informativo dedicato ai terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani, la cui proposta di integrazione compete all’Ente territoriale ai sensi dell’articolo 12, comma 2, lettera f); nello strato informativo sono riversati i dati di cui all’articolo 4 del D.P. Reg. 27 ottobre 2011, n.0259/Pres. (Regolamento recante criteri e modalità per l'attuazione degli interventi in favore dei terreni incolti o abbandonati ai sensi dell'articolo 11 della legge regionale 16 giugno 2010, n. 10 - Interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani).
5. Qualora i terreni incolti o abbandonati ricadano all’interno dei beni paesaggistici di cui al Capo II e III, sono ammessi senza autorizzazione paesaggistica i seguenti interventi, previsti dall’articolo 3 del D.P. Reg. n.0259/2011/Pres.:
a) taglio degli alberi, comprensivo delle fasi di allestimento, concentramento, esbosco o redistribuzione sul terreno dei residui legnosi;
b) asportazione delle ceppaie di soggetti arborei, comprensiva del successivo livellamento del terreno per uso a scopi agrari;
c) sfalcio;
d) trinciatura del materiale vegetale;
e) decespugliamento mediante taglio, sradicamento e ammucchiamento del materiale di risulta, compreso estirpo ed asportazione di ceppaie;
f) fresatura del terreno;
g) semina di specie erbacee fitogeograficamente coerenti.
6. La Regione incentivai programmi per il recupero dei terreni incolti mediante l’assegnazione di risorse finanziarie, ai sensi dell’articolo 54.
In Friuli Venezia Giulia i territori montani sono classificati dalla legge regionale 20 dicembre 2002, n. 33 (Istituzione dei Comprensori montani del Friuli Venezia Giulia) all’art.2 “secondo criteri di unità territoriale economica e sociale”. L’elenco include anche alcuni comuni parzialmente montani che hanno una popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, i comuni di Muggia e San Dorligo della Valle e alcuni comuni censuari di Trieste come Santa Croce, Prosecco, Contovello, Roiano, Longera e Santa Maria Maddalena.
Le zone omogenee identificate sono cinque: quella della Carnia, quella del Gemonese, Canal del Ferro e Val Canale, quella del Pordenonese, quella del Torre, Natisone e Collio e, per finire, quella del Carso.
In queste aree durante la fase di partecipazione e indagine è emerso chiaramente come l’elemento boschivo fosse percepito dagli abitanti come un fattore evolutivo negativo. Il bosco costituito da formazioni spontanee in successioni secondarie aveva progressivamente ridotto lo spazio delle praterie inclinate, tipiche delle aree montane. Gli abbandoni e la lenta trasformazione da prato a bosco sono stati percepiti dalla popolazione locale come una progressiva perdita dei paesaggi tradizionali. Per questo motivo la Regione ha individuato una specifica strategia per recuperare i terreni incolti e abbandonati e impedire che gli stessi estendano progressivamente il vincolo boschivo anche su quelle aree che un tempo erano prative.
Non a caso tra gli obiettivi previsti negli ambiti di paesaggio delle aree montane viene segnalato alle comunità locali il compito di rispondere attraverso l’adeguamento del PRG al PPR all’obiettivo di “promuovere la cura e la conservazione dei paesaggi montani attraverso il recupero dei terreni incolti e/o abbandonati”.
La Regione appellandosi alla legge 4 agosto 1978, n. 440 (Norme per l'utilizzazione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente coltivate) e alla legge regionale 16 giugno 2010, n. 10 (Interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani) provvede a stabilire cosa non considera bosco riconoscendo, per contro, ciò che considera abbandonato e incolto. Con la legge regionale n.9 del 2007 (Norme in materia di risorse forestali) la Regione ha fatto lo sforzo di definire le aree che non sono boschive, tanto da precisare che sono considerati abbandonati o incolti:
“a) i terreni agricoli che non siano stati destinati a uso produttivo da almeno tre anni;
b) i terreni boscati catastalmente individuati come pascoli, prati o seminativi che non siano stati oggetto di attività selvicolturali di cui all'articolo 14, comma 1, lettera a), da almeno venti anni;
c) i terreni montani rimboschiti artificialmente sui quali non siano stati attuati interventi colturali di sfollo o di diradamento da almeno venti anni”.
Il dispositivo delle leggi propone azioni per il recupero dell’attività agricola anche nelle aree rimboschite da più di vent’anni. Questo vuol dire che gli ambiti di recente inselvatichimento possono essere riconosciuti nella categoria dei terreni produttivi abbandonati e quindi non essere sottoposti all’azione del vincolo paesaggistico imposto dalla categoria del bosco.
Per rendere possibile questo la Regione ha attrezzato il quadro conoscitivo con uno strato informativo sul quale i comuni devono disegnare, durante la fase di adeguamento del PRG al PPR, le aree che considerano abbandonate e incolte. Cioè le aree improduttive da almeno tre anni e le aree boscate naturalmente o con impianti artificiali e che non hanno subito attività colturale da almeno vent’anni. Questo vuol dire che i terreni non devono aver subito “attività selvicolturali, comprendenti i tagli di utilizzazione, le conversioni di boschi cedui all'alto fusto, gli sfolli, i diradamenti, le cure colturali, la difesa fitosanitaria, gli interventi di prevenzione, ripristino e ricostituzione dei boschi danneggiati da incendi, da dissesti idrogeologici e altre calamità, i rimboschimenti e gli imboschimenti” (LR. n.9, 23 aprile 2007, Norme in materia di risorse forestali, art.14, comma 1, lettera a).
La Regione ha predisposto poi uno stato informativo che ha il compito di raccogliere tutti i dati sulle aree incolte e abbandonate sulle quali si sta intervenendo sulla base della LR n.10 del 2010 che finanzia la ricostruzione delle superficie prative attraverso “interventi di promozione per la cura e conservazione finalizzata al risanamento e al recupero dei terreni incolti e/o abbandonati nei territori montani”.
In sostanza la definizione planimetrica delle aree boscate rimane quella definita dallo strato informativo validato dal procedimento di copianificazione con il ministero, ma se i terreni incolti o abbandonati ricadano all’interno dell’area le azioni che permettono di passare dalla superficie boschiva a quella delle praterie non hanno bisogno di autorizzazione paesaggistica.
In sostanza i comuni devono predisporre i materiali conoscitivi che meglio possono testimoniare gli originari assetti paesaggistici delle aree montane e depotenziare le pratiche autorizzative in quelle aree nelle quali sarà individuata, come obiettivo di politica del paesaggio, la ricostituzione delle superfici prative.
All’interno di queste aree riconoscibili per sottrazione dallo strato dei boschi sarà possibile la cancellazione delle superfici boschive producendo forme paesaggistiche come i prati o i prati alberati.
Non a caso le direttive del PPR prevedono nelle aree montane l’obbligo per i piani regolatori comunali di definire le “norme volte al mantenimento delle praterie e dei pascoli incolti o in via di colonizzazione forestale, favorendone la manutenzione mediante sfalcio periodico e attività zootecnica compatibile con la fragilità paesaggistica ed ambientale dei luoghi”.
(Moreno Baccichet)
art 49 - Paesaggio costiero
1. Il PPR riconosce i paesaggi costieri nella loro diversità e nel legame con il territorio retrostante, al fine della sua valorizzazione e della diminuzione della pressione turistica sul paesaggio costiero e dell’interruzione dei processi di degrado legati alla pressione antropica sul litorale.
L’articolo 49 propone in un modo generico il riconoscimento del paesaggio costiero e la norma è alquanto vaga nel definire azioni come la “diminuzione della pressione turistica” e anche “l’interruzione dei processi di degrado legati alla pressione antropica sul litorale”. Nelle schede di ambito si nota una intransigente avversione alle forme di nuova antropizzazione della costa, come nel caso di Porto Piccolo a Sistiana.
L’approfondimento ai singoli elementi di valore viene dalla complessa lettura delle due schede d’ambito (AP11 e AP12) ricche di indirizzi e direttive soprattutto sul fronte dei beni culturali e del sistema ecologico.
(Moreno Baccichet)
Art. 50 - Linee Guida
1. Il PPR individua le linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, ai sensi dell’articolo 143 comma 8 del Codice.
2. Le linee guida per il turismo sostenibile e per il consumo di territorio sono contenute nell’Allegato f) del PPR.
3. Le seguenti linee-guida saranno integrate ai sensi dell’articolo 12:
a) dispersione insediativa e recupero del patrimonio edilizio;
b) qualificazione ambientale e paesaggistica delle infrastrutture;
c) localizzazione e progettazione degli impianti energetici;
d) ripristini ambientali nell’ambito di opere con particolare riguardo alla vulnerabilità alle specie vegetali esotiche invasive e ai ripristini delle aree invase;
e) consumo di suolo.
4. Nelle more dell’integrazione delle linee-guida, sono osservate le linee-guida emanate dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale attinenti.
Con la prescrizione dell’art.49 la Regione si propone ulteriormente di essere service attivo degli enti locali che devono adeguarsi al PPR. Oltre al Vademecum per l’individuazione della rete ecologica (cfr. art.42) la Regione annuncia che per l’attuazione del piano paesistico entro un anno (maggio 2019) saranno emanate delle Linee Guida. Tali Linee Guida vengono definite “prioritarie” per i progetti che saranno inseriti nelle Varianti di adeguamento per tutti i progetti che riguarderanno la conservazione, il recupero, la riqualificazione, la valorizzazione e la gestione delle aree regionali (in riferimento al comma 8, art.143 del Codice Ambiente). Ma a seguito di un processo di attività sperimentale con gli enti locali (cfr.art.50 comma 2) la Regione si impegna a emanare “ulteriori linee guida” su determinati tematismi individuati al comma 2.
Le tematiche che saranno prese in considerazione riguardano i molteplici problemi.
a) Dispersione insediativa ed il recupero del patrimonio edilizio.
Si tratta di regolare o correggere il fenomeno della costruzione in zona agricola che tanto preoccupa gli urbanisti ma che rappresenta un modo di abitare a forte domanda sociale. L’area agricola oltre al ruolo prettamente legato alla produzione primaria è oggetto di continue attenzione immobiliari in quanto zona considerata “di lusso” per la sua valenza ambientale distante dalla città e dagli inquinamenti che la stessa produce. Abitare “in campagna” non è da diversi decenni una prerogativa degli addetti al settore agricolo ma di diversi strati di popolazione. Al tempo stesso in zona agricola vi sono molti volumi edilizi abbandonati e dismessi. Alcuni sono ex case rurali con annessa stalla/deposito attrezzi, altri sono ex allevamenti, altri ancora capannoni di piccole/medie ditte che hanno iniziato la produzione “nel garage sotto casa” (oggi denominate start-up).
b) Qualificazione ambientale e paesaggistica delle infrastrutture.
Il nodo delle infrastrutture (viarie, ferroviarie, rete elettrica, rete delle antenne telefonia, ecc.) è un elemento deturpatore del paesaggio e dell’ambiente. Rappresenta un altro “fastidio” per gli urbanisti-progettisti che, però, essendo percepito negativamente da chiuque è facilmente condivisibile. Ma le infrastrutture sono necessarie. Le decisioni di localizzazione di solito bypassano enti locali e regioni e pur essendo soggette a valutazione e partecipazione non sempre si riesce ad avere un risultato soddisfacente. Ben vengano quindi le linee guida regionali che in un processo di costruzione del progetto condiviso possono essere un valido aiuto agli enti locali che, di solito, devono soccombere a decisioni “superiori”.
c) Localizzazione e progettazione degli impianti energetici.
È un sotto-tema del precedente. Si tratta di infrastrutture (pannelli solari, pale eoliche, ecc.) che seguono le politiche per rendere la nazione meno dipendente dalle fonti energetiche classiche che devono essere acquistate da altri paesi fornitori. Il deficit tra risorse prodotte e risorse acquisite crea uno squilibrio notevole alla “bolletta” nazionale. Anche in questo caso gli enti locali sono “deboli” al tavolo del confronto e delle trattative. L’aiuto regionale può rivelarsi fondamentale.
d) Ripristini ambientali nell’ambito di opere con particolare riguardo alla vulnerabilità alle specie vegetali esotiche invasive e ai ripristini delle aree invase.
È un tema molto particolare che riguarda parti di territorio specifico. Possono far parte di questa problematica fenomeni diversi (oltre quelli riguardanti le specie invasive esotiche): “l’avanzata” del bosco conseguente al suo abbandono, la “desertificazione” conseguente all’uso di certe colture, la erosione del sistema costiero sabbioso conseguente ai cambiamenti climatici, ecc. Sono temi “alti” che devono essere affrontati con politiche “elevate” non all’altezza dei singoli comuni. Il ruolo della Regione diventa, anche in questo caso, fondamentale.
e) Consumo di suolo
La riduzione del consumo di suolo deriva da una precisa direttiva europea che indica il 2050 quale anno limite per il blocco totale. Da quella data l’espansione della città potrà avvenire solo all’interno del perimetro della città costruita attraverso operazioni di demolizione e ricostruzione o di rigenerazione urbana. Si tratta di un obiettivo strategico importante. Sia lo stato che le regioni si sono già mosse negli ultimi anni per disciplinare tale tematica. A livello nazionale è stato proposto un disegno di legge che però per la fine della legislatura non ha trovato la traduzione in parlamento. Alcune regioni hanno già, invece, dettato regole per arginare tale fenomeno e arrivare alla data del 2050 gradualmente. Prima fra tutte la Regione Lombardia con la legge ( …..). A seguire la Regione Veneto con la legge 14/2017. Questa con un complesso lavoro di ricerca e sovrapposizione di cartografie tematiche condivise con gli enti locali ha individuato un limite pre-definito per ogni comune. La Regione Emilia Romagna con la legge …./2017 ha fissato un limite massimo per il futuro consumo di suolo: solo il 3% del perimetro del costruito e per la sola destinazione non-residenziale. La Regione Toscana obbliga invece i comuni di dotarsi di un piano strategico all’interno del quale deve essere individuato il “perimetro dell’urbanizzato” (già pre-individuato nel piano paesistico) quale limite massimo per le operazioni edilizie. Le aree che escono da tale perimetro devono essere concordate e condivise con un processo di co-pianificazione con la stessa regione.
La Regione Friuli Venezia Giulia si pone nella scia di queste provvedimenti e contribuisce ad arrivare alla data del 2050 insieme agli enti locali in condivisione e in co-progettazione.
f) Turismo sostenibile
Una ulteriore linea guida è riservata alla definizione e alla progettazione della pratica del turismo sostenibile. Il fatto che si nomini la categoria “sostenibile” sta a significare che c’è, o c’è stato, un turismo (come uno sviluppo) “in-sostenibile”. Lo sviluppo fatto solamente di aggiunte, di addizioni continue di aree edificabili, di strade, di villaggi turistici, ecc. è forse giunto al limite. Riconoscere ciò costringe a modificare i punti di vista finora sostenuti e a ri-progettare con un’ottica completamente diversa.
La Regione con la preparazione e realizzazione di queste Linee Guida darà un contributo fondamentale allo sviluppo dei vari tematismi e si appresta ad avere un ruolo primario da co-pianificatrice per il paesaggio e l’ambiente. Il territorio, ed il paesaggio, è un bene non riproducibile e pertanto deve essere salvaguardato e tramandato alle generazione future nel miglior modo possibile. È questa una linea disciplinare che per gli urbanisti parte da molto lontano: già nel 1975 una famosa ricerca svolta da tre ricercatori (……..) del MIT americano per conto della organizzazione non-governativa del Club di Roma aveva previsto con una modellazione matematica oggettiva i limiti del consumo delle risorse terrestri. La pubblicazione aveva assunto il titolo emblematico: “I Limiti dello Sviluppo”. Tali temi, purtroppo, sono entrati nella agenda della politica con tantissimi anni di ritardo.
La Regione, conscia della difficoltà di redigere tempestivamente tali Linee Guida, dà anche una soluzione alternativa rimandando alle linee guida emanate dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). L’ISPRA istituito sotto il controllo dell’allora Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel 2008 (DM 133/2008) sviluppa ricerca su un vasto set di variabili ambientali ed è il riferimento nazionale anche di tutte le Agenzie ambientali regionali.
(Daniele Rallo)
Art. 51 - Accordi
1. La Regione e le altre amministrazioni pubbliche possono stipulare accordi ai sensi degli articoli 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, “Nuove norme sul procedimento amministrativo”, e 23 della legge regionale 20 marzo 2000, n. 7 “Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso”, per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune in relazione all’attuazione del PPR.
2. La Regione, su motivata richiesta degli enti locali, può inoltre stipulare con i medesimi accordi per l'avvio di una attività sperimentale di adeguamento degli strumenti urbanistici generali al PPR, ai sensi dell’articolo 5 della legge regionale 29 dicembre 2016, n. 25, (Legge di stabilità 2017).
3. La Regione può altresì stipulare accordi di programma, ai sensi degli articoli 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e 19 della legge regionale 20 marzo 2000, n. 7, finalizzati alla conservazione e valorizzazione dei paesaggi.
Art. 52 - Contratti di fiume
1. La Regione promuove la stipula dei contratti di fiume ai sensi dell’articolo 12 della legge regionale 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque) al fine di attuare la riqualificazione ambientale e paesaggistica del territorio.
2. I contratti di fiume possono dettagliare gli interventi che non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’articolo 23, comma 8, lettera c.8.d.
Art. 53 - Progetti integrati di paesaggio
1. La Regione promuove, attraverso la stipula di accordi di programma ai sensi dell’articolo 50, la redazione e l'attuazione di progetti integrati di paesaggio volti ad attuare la parte strategica del PPR, alla riqualificazione delle aree compromesse e degradate, nonché per interventi di recupero dei valori paesaggistici.
Art. 54 - Misure incentivanti
1. La Regione incentiva la conclusione degli accordi, contratti e progetti di cui agli articoli 47 comma 6, 50, 51 e 52 attraverso lo stanziamento di adeguate risorse e, ove compatibili, con l’utilizzo delle risorse riscosse per effetto delle sanzioni relative alla Parte III del Codice.
Gli artt. 50-51-52-53-54 fanno parte del Titolo IV Gestione del PPR ed in modo particolare individuano gli strumenti di attuazione dello stesso. Fra questi sono indicati: gli Accordi di programma (art.50), i Contratti di Fiume (art.51) ed i Progetti Integrati di Paesaggio (art.52). L’art.53 è un rimando alla stessa Regione per trovare le risorse per incentivare la attuazione del piano stesso.
Gli Accordi sono lo strumento introdotto dalla legge sulle norme sul procedimento amministrativo (L. 241/1990) che permettono di stipulare tra amministrazioni pubbliche con un processo semplificato e veloce intese su determinati progetti. La Regione inserisce l’Accordo quale elemento per condividere le scelte progettuali con il Ministero in modo particolare per disciplinare la collaborazione per l’attuazione del PPR. L’obiettivo esplicito è quello di co-pianificare con gli organi del Ministero in modo da poter by-passare le procedure approvative successive o sui singoli elementi architettonici.
Il secondo strumento, analogo al primo, è quello dell’Accordo di Programma ai sensi della legge sull’ordinamento degli enti locali da stipulare tra Regione ed enti locali In questo caso l’obiettivo diventa la conservazione e la valorizzazione dei paesaggi.
Si tratta di strumenti che ancorché non recenti permettono di accelerare i tempi burocratici tipici della amministrazioni pubbliche. Lo sforzo della Regione è quello di introdurre questi strumenti (previsti anche dalla legge regionale 7/2000) e farli diventare i routine e non solamente eccezionali.
I Contratti di Fiume fanno parte della disciplina in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque (LR 11/05) e sono finalizzati alla riqualificazione ambientale e paesaggistica. Ma la Regione fa assumere ad essi anche un valore di attuazione edilizio-urbanistica dandogli la possibilità di individuare gli interventi che non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica. Questi sono nominati e descritti al precedente art.23 (Fiumi, torrenti e corsi d’acqua) e comprendono diverse fattispecie progettuali. La realizzazione di percorsi ciclo-pedonali e la manutenzione del le strade vicinali senza opere di impermeabilizzazione. La rimozione degli elementi artificiali interni all’alveo. La rinaturalizzazione dei tratti artificiali. La ristrutturazione degli edifici attraverso la rimozione di parti incongrue. La rimozione di opere di intubamento. La realizzazione di strutture rimovibili per attività di tempo libero. Sono inoltre disciplinabili le cave a cielo aperto in cui sono già in atto interventi di rinaturalizzazione. Per le cave sono ammesse ancora una serie di interventi specifici per il riordino del lay-out produttivo.
I Progetti integrati di paesaggio sono introdotti dal PPR come una specificazione degli Accordi Ministero-Regione. Questi sono finalizzati alla attuazione della parte strategica del PPR, alla riqualificazione delle aree compromesse e degradate e agli interventi di recupero dei valori paesaggistici. Nuovamente la Regione si fa parte attiva per coinvolgere le Sovrintendenze alla stesura condivisa e co-pianificata della progettazione del paesaggio. Cercando in questo modo di dare un ruolo a queste istituzioni che non sia di mera vidimazione di progetti a posteriori ma che sia progettuale in primis portandole sul campo della sperimentazione e della costruzione del progetto. Comando un aspetto di cui gli enti sono assolutamente carenti.
L’art.53 è dedicato alle “misure incentivanti” o meglio alla possibilità di stanziare adeguate risorse per attivare la progettazione, gli accordi ed i contratti. Si tratta nuovamente di un’auto-stimolazione per dare il via a processi di percorsi progettuali virtuosi.
(Daniele Rallo)
POSTFAZIONE
Sandro Fabbro
Prime note su paesaggio e governo del territorio in FVG
1. Premessa
La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ha, attualmente, ben due piani “territoriali” approvati. Il Primo è il Piano di Governo del Territorio (PGT) approvato il 16 aprile del 2013 ed il secondo è il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) approvato il 24 aprile del 2018, quasi esattamente cinque anni dopo. I due piani mirano a sostituire definitivamente il Piano Urbanistico Regionale Generale (PURG) approvato ben quarant’anni fa (1978). Dopo diversi precedenti tentativi andati a vuoto -durante gli anni novanta e primi duemila-, PGT e PPR sembrano finalmente aver risolto l’annoso problema della successione al PURG. Ma è proprio così? Quel “mitico” piano urbanistico (forse il primo piano urbanistico regionale in Italia) pare destinato a sopravvivere ai suoi successori i quali sembrano contendersi la legittima eredità in un litigio confuso e dagli esiti assai incerti.
Con le seguenti note, dal carattere non sistematico ed assolutamente introduttivo, proviamo ad analizzare la questione da più punti di vista: il primo è sicuramente quello dell’ordinamento giuridico la cui esegesi, per quanto scientificamente non ci competa, va almeno esplorata nelle sue linee generali. Il secondo è quello della cultura urbanistica (italiana in particolare). Il terzo è quello delle politiche del territorio.
2. Piano di Governo del Territorio (PGT) e Piano Paesaggistico Regionale (PPR)
Il piano di governo del territorio ha la sua matrice costituzionale nel Titolo V della Costituzione Italiana così come novellata con la riforma costituzionale del 2001. L’articolo 117, comma 3, della Costituzione inserisce tra le materie di competenza concorrente o ripartita tra Stato e Regioni, “il governo del territorio”, che sembra sostituire l’“urbanistica” del vecchio testo dell’articolo 117. Autorevole dottrina ha ritenuto che “con la nuova denominazione della materia si è voluto solo chiarire che la stessa investe l’intero territorio e non solo la parte occupata da costruzioni, ma non si è affatto inteso accogliere una nozione contenutisticamente più ampia, come pure la nuova espressione potrebbe far pensare se isolatamente considerata” (Stella Richter, 2002). Per alcuni ci sarebbe quindi totale equivalenza tra “urbanistica” e “governo del territorio” (Salvia e Teresi, 2002) mentre altri sostengono invece che il governo del territorio comprenderebbe ma non si esaurirebbe nell’urbanistica (Amorosino, 2003). Secondo altri ancora, il legislatore costituzionale ha voluto invece, con l’espressione “governo del territorio”, indicare una nuova materia diversa da urbanistica ed edilizia, trasferendo quest’ultima alla competenza esclusiva delle regioni ma solo con riguardo all’assetto delle città, mentre invece, con il governo del territorio si farebbe riferimento al territorio nella sua globalità (Cerulli Ierelli, 2008).
Indipendentemente dalle diverse interpretazioni, si può dire comunque che vi sia continuità tra “urbanistica” e “governo del territorio” e che, se il secondo incorpora la prima, rappresentandone una sorta di evoluzione, la prima non scompare di certo ma ne rappresenta la matrice generativa. Dal punto di vista dell’oggetto del governo, non c’è alcun dubbio che questo è il “territorio”, non la città, non l’edilizia e neppure il paesaggio.
Secondo la logica della “competenza concorrente” sarebbe spettata allo Stato una legislazione di cornice ed alle Regioni quella attuativa. Ma così non è andata. Si è avuto, invece, un proliferare di leggi regionali in assenza di un quadro di riferimento nazionale. Non essendo stata emanata, dal 2001 in poi, alcuna legge cornice statale in materia di “governo del territorio”, se ne deve dedurre che la competenza regionale in materia di governo del territorio non viene meno ma rimane semmai disciplinata, in termini di principi generali, dalla legge Urbanistica n.1150 del 1942. La competenza regionale nel legiferare e pianificare in materia di governo del territorio ha piena legittimità costituzionale ma in quadro di principi che è ancora quello, parziale, dell’”urbanistica” così come definito dalla L. 1150 del 1942. Nel caso della Regione Autonoma FVG, la competenza in materia urbanistica è fissata dallo Statuto di Autonomia del 1963 e, da allora, la Regione FVG ha potestà legislativa in materia urbanistica. In base a tale competenza primaria, la Regione FVG ha approvato il suo Piano Urbanistico Regionale nel 1978. Parrebbe quindi del tutto corretto vedere oggi, in una nuova legge “di Governo del Territorio” e nel relativo piano regionale di “Governo del Territorio”, gli eredi legittimi di quella potestà legislativa e di quel piano urbanistico. Ciò anche in assenza di una legislazione nazionale in materia.
Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR) nasce dal principio costituzionale dettato dall’art.9 della Costituzione Italiana che stabilisce che la “Repubblica (…) Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione” ed è disciplinato dagli artt. 135 e 143-145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, "Codice dei beni culturali e del paesaggio”.
Dal sito della Regione FVG si evince che, in attuazione del Codice dei beni culturali e del paesaggio e della Convenzione europea del paesaggio, la Regione FVG ha approvato, con Decreto del Presidente della Regione del 24 aprile 2018, il Piano Paesaggistico Regionale (PPR). Detto piano viene considerato: “fondamentale strumento di pianificazione finalizzato alla gestione del territorio nella sua globalità e nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile, con lo scopo di integrare la tutela e la valorizzazione del paesaggio nei processi di trasformazione territoriale, anche come leva significativa per la competitività dell'economia regionale”. Si sostiene inoltre che “Il PPR-FVG è organizzato in una parte statutaria, una parte strategica e una dedicata alla gestione. Il Piano riconosce le componenti paesaggistiche attraverso i seguenti livelli di approfondimento fondamentali:
- a scala generale omogenea riferita agli "ambiti di paesaggio" (ai sensi dell'articolo 135 del Codice);
- a scala di dettaglio finalizzato al riconoscimento dei "beni paesaggistici" (ai sensi degli articoli 134 e 143 del Codice) che comprende: immobili e aree dichiarati di notevole interesse pubblico; aree tutelate per legge; ulteriori contesti individuati dal piano.
È improntato a visione strategica riferita all'intero territorio regionale che considera il paesaggio come un punto di forza per lo sviluppo della regione e la qualità della vita dei cittadini”. Si precisa, inoltre, che “La Regione ha elaborato il PPR-FVG attraverso un percorso graduale e partecipato considerando sia lo spirito della Convenzione europea del paesaggio che i contenuti del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Alla redazione del PPR-FVG ha provveduto il Gruppo di lavoro inter istituzionale (Regione FVG, UNIUD, UTI Carnia, MFSN, ERPAC) in co-pianificazione con il MiBACT. Ai contenuti del Piano hanno contribuito tutti i cittadini attraverso l'Archivio delle segnalazioni on-line, gli enti locali che hanno stipulato gli accordi, istituzioni e portatori d'interesse”.
Da queste parole sembrerebbe che oggi, il vero piano territoriale della regione, sia il PPR e che a questo spetti, pertanto, di assolvere anche ai compiti di “governo del territorio”. Sul sito della Regione, il PPR-FVG è dichiarato, infatti: “fondamentale strumento di pianificazione finalizzato alla gestione del territorio nella sua globalità e nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile”. È vero che il termine “gestione” sostituisce quello di “governo” e, quindi, parrebbe, da questo punto di vista, più legato al breve che al lungo termine ma in quanto “fondamentale strumento di pianificazione (…) nella prospettiva di uno sviluppo sostenibile”, parrebbe non volersi impedire neppure finalità sistemiche più complesse ed ambiziose. In ogni caso è la “pianificazione del paesaggio” (lo strumento) che sussume (come fine) la “gestione del territorio nella sua globalità”.
Nell’Introduzione al PPR si sostiene, inoltre, che “Pur riconoscendo le connessioni con le altre discipline (e/o interessi o valori) comunque incidenti su territorio, quali ad esempio l’urbanistica e l’ambiente, occorre distinguere i diversi interessi sottesi da ciascuna materia e concentrarsi su quei beni-aspetti riconosciuti o riconoscibili di valore paesaggistico-identitario. Sul piano giuridico, paesaggio, urbanistica (o, in termini più attuali, governo del territorio) e ambiente attengono al territorio sotto punti di vista distinti. Il paesaggio attiene all’aspetto del territorio come soggettivamente percepito, attiene cioè alla sfera della percezione umana e alla sua elaborazione concettuale e culturale. L’ambiente considera il territorio in senso fisico oggettivo e la sua salvaguardia attiene le matrici ambientali (suolo, aria, acqua). Il governo del territorio riguarda l’assetto e le trasformazioni del territorio in relazione ad esigenze socio-economiche essenzialmente di tipo edilizio. Si tratta di beni-aspetti-interessi differenti sul piano giuridico, disciplinati da materie distinte e da strumenti che non possono essere confusi”. Per quanto non si capisca da dove viene tratta la definizione riportata di “governo del territorio”, in ogni caso va apprezzato il tentativo di tenere separati “beni-aspetti-interessi differenti sul piano giuridico, disciplinati da materie distinte e da strumenti che non possono essere confusi” ed anche la definizione di paesaggio come attinente “alla sfera della percezione umana e alla sua elaborazione concettuale e culturale”. Questo valido intento ci sembra però disconosciuto poco dopo quando si afferma che “Il PPR-FVG sviluppa, nella parte strategica, la Rete Ecologica regionale e locale, volta a garantire e recuperare un’adeguata connettività ecologica”. Il riferimento, si spiega, è alla “Strategia nazionale per la biodiversità” (Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare, 2010) che si pone come strumento di integrazione dell’uso sostenibile delle risorse naturali nelle politiche nazionali di settore ed è articolata attorno a tre tematiche cardine: 1.Biodiversità e servizi ecosistemici, 2.Biodiversità e cambiamenti climatici, 3.Biodiversità e politiche economiche. Non pare coerente, però, sostenere, nella stessa Introduzione, che “l’efficacia del Piano richiede anche un sforzo di selezione di beni, aspetti e interessi riconosciuti o riconoscibili di valore paesaggistico-identitario individuati e diversi rispetto a quelli oggetto di altre discipline attinenti il territorio (principalmente l’urbanistica e l’ecologia o le scienze ambientali)” oppure che: “riconoscendo le connessioni con le altre discipline (e/o interessi o valori) comunque incidenti su territorio, quali ad esempio l’urbanistica e l’ambiente, occorre distinguere i diversi interessi sottesi da ciascuna materia e concentrarsi su quei beni-aspetti riconosciuti o riconoscibili di valore paesaggistico-identitario”, e poi, al contempo, caratterizzare la cosiddetta parte strategica del PPR in direzione della costituzione di una rete ecologica (con l’esplicito riferimento alla Strategia nazionale per la biodiversità) ed anche di altre reti della mobilità. È difficile, cioè, non riconoscere qui un tentativo di sconfinamento da tematiche e problematiche di paesaggio come “percezione umana e elaborazione concettuale e culturale” ad una dimensione ontologica (ciò che c’è) ed epistemologica (ciò che si sa) del territorio che ha ben altre implicazioni anche dal punto di vista del suo “governo”.
La Regione FVG, quindi, al momento priva di una sua legislazione adeguata alla riforma costituzionale del 2001, appare dotata, invece, di due strumenti di pianificazione regionale del territorio: il PGT e il PPR. Ma i due strumenti appaiono alternativi e conflittuali tra di loro non solo in termini contenutistici ma anche in termini politico-programmatici: esclusivamente “regionalista” il primo; “copianificato” con il Ministero il secondo. È inutile aggiungere poi che i due strumenti perseguono non tanto obiettivi diversi (gli obiettivi, si sa, si lasciano scrivere) quanto idee di “regione” e di “territorio” fortemente diversi. Che succederà quando ambedue gli strumenti saranno operativi (uno, il PPR, lo è già; l’altro, il PGT, lo sarà nell’aprile 2019)? Quale prevarrà in caso di conflitto? Si può ipotizzare che il PPR, comprensivo di una parte “statutaria” -che sarebbe stato più corretto definire “statale” perché relativa ad aree tutelate da diverse leggi statali-, prevarrà giuridicamente sul PGT almeno in relazione a dette aree. E sul resto del territorio chi prevarrà? Nel caso, cioè, che le due strategie non dovessero collimare, la parte “strategica” del PPR prevarrà a sua volta sulla parte strategica del PGT? È chiaro che se ciò dovesse avvenire, si avrebbe, indipendentemente dalla quantità e qualità delle previsioni, un grave vulnus per l’autonomia della Regione ed un serio precedente per le pianificazioni regionali a venire. Non si capisce, quindi, quale ratio abbia guidato l’operato della Regione FVG nell’approvare due piani territoriali regionali in conflitto tra di loro e senza aver prima legiferato sui nuovi compiti di pianificazione territoriale della Regione! Un solo fatto è certo: nella regione, diversamente dagli anni in cui si produceva il Piano Urbanistico Regionale, non c’è oggi una idea condivisa di territorio regionale e di cosa se ne debba fare! Al momento, quindi, ogni pianificazione del territorio di scala regionale rischia di apparire delegittimata alla radice e, quindi, in fin dei conti, priva di senso. Nel creare questa perversa ambiguità hanno probabilmente contribuito anche contradditorie concezioni del paesaggio che il PPR si è fatto carico di promuovere e legittimare: perché inserire, per esempio, le reti ecologiche in un piano paesaggistico? Non si tratta, invece, di tema tipico di piani territoriali o ambientali? La complementarità tra paesaggio come “percezione culturale” ed “ecologia del paesaggio” non pare automatica e comunque non pare né affrontata né risolta. E, inoltre, come si pensa di attuare la rete ecologica? E come si pensa di attuare l’”Obiettivo Generale 4 - Consumo zero del suolo”? Con gli strumenti di tutela del paesaggio o con gli strumenti delle destinazioni d’uso dei suoli, tipici, invece, dell’urbanistica (e, ora, del governo del territorio)? O con altro ancora? Sono tutte domande legittime –crediamo-, ma che non trovano risposta nel PPR perché forse si è visto nel PPR il vettore giusto per tutta una serie di previsioni e di operazioni che, dopo il “congelamento” temporaneo, del PGT, erano rimaste prive di un proprio strumento di pianificazione. Ma questo significa coartare la realtà alle esigenze della amministrazione e non viceversa!
3. Paesaggio, territorio, pianificazione
Il PPR della Regione FVG è un piano di “valorizzazione del paesaggio” che serve anche a cambiare il regime di gestione di una serie di aree (circa il 10% del territorio regionale) che ricadono sotto il vincolo paesaggistico ministeriale e dove, per intervenire, ci vuole, di norma, una autorizzazione ministeriale. Oggi, con il nuovo piano che dettaglia le modalità di intervento, tale autorizzazione statale sarà sicuramente più motivata che in passato e, quindi, meno arbitraria. Ma il PPR è fatto di due parti con grado di cogenza diversa: una parte vincolistica, che afferisce alle aree vincolate per legge e detta (chissà perché?) parte “statutaria” ed una parte di indirizzo e detta “strategica”. La prima è chiara nei suoi scopi di tutela dei beni interessati. La seconda è più di indirizzo e non obbligatoria. La prima parte può essere valutata alla luce di una domanda molto semplice: in che misura il PPR, per la parte statutaria, migliora l’efficacia e l’efficienza del regime di tutela preesistente? Se c’è un significativo aumento della qualità della tutela in presenza anche di una diminuzione (o, almeno di un non incremento) della complicatezza burocratica dei procedimenti, allora il PPR ha senso altrimenti era preferibile rimanere nel regime preesistente. Su questo aspetto si deve riscontrare, da parte del PPR, grazie alla documentazione molto ampia offerta per i singoli beni paesaggistici - soprattutto per quelli derivanti dai decreti ministeriali ex L.1497 -, una maggior qualità, almeno teorica, della tutela. La maggior conoscenza delle motivazioni della tutela supera, infatti, certamente quelle contenute nei decreti precedenti e nella legge Galasso, che erano assolutamente insufficienti e che hanno favorito finora più che altro l’arbitrarietà nelle autorizzazioni ministeriali. L’ampia documentazione conoscitiva potrà quindi migliorare la qualità della tutela tenendo anche conto del fatto che, nell’attuazione del piano, ci saranno possibilità di messa a punto e modifica nel passaggio di scala da regionale a comunale. Ma non si tratta comunque di un fatto automatico in quanto è noto che una migliore conoscenza non si traduce automaticamente in maggiore efficacia pianificatoria. La seconda parte, essendo di carattere strategico, deve rispondere a tutt’altra domanda: essendo “non obbligatoria” e dovendo misurarsi con la capacità di “convincere”, bisognerà chiedersi in che misura incontrerà le aspettative e gli interessi degli abitanti della regione e delle loro amministrazioni comunali che non possono certo considerarsi attori neutri o addirittura passivi.
Proviamo a ragionare su questa dimensione “strategica” per vedere dove ci può portare.
Paesaggio è termine dalla matrice semantica sofisticata ma altamente ambiguo dal punto di vista strategico e operativo. Il paesaggio non è il territorio ma, semmai, l’identità culturale particolare che questo assume nei vari contesti (come si è detto sopra). È, in altri termini, una interpretazione culturale del territorio e non il territorio in sé e per sé. Il governo del territorio –espressione che, come si è detto, dal 2001 ha sostituito il termine “urbanistica” nella Costituzione italiana -, è “il processo decisionale col quale il potere politico assegna i diritti d’uso e di trasformazione del suolo (…) servendosi della pianificazione spaziale come strumento tecnico” dove, per pianificazione spaziale, intendesi “il sapere tecnico che elabora gli strumenti sostantivi e procedurali di configurazione dello spazio: modelli insediativi, piani, parametri e regole d’uso del suolo, progetti” (Gaeta, Rivolin, Mazza, 2018). È il “governo del territorio”, quindi, attraverso la pianificazione spaziale, che ha il compito costituzionale e tecnico di dare indirizzi strategici e regole d’uso al territorio e non il “paesaggio” né, tantomeno, la “pianificazione del paesaggio”.
Ma se il PPR sarà, in FVG, anche il vero e proprio strumento di “governo del territorio”, il concetto di “paesaggio” finirà per prevalere su quello di “territorio” mentre, dal punto di vista dei poteri, lo Stato avrà sempre più titolo ad entrare anche nelle questioni di governo regionale del territorio. Il mutamento di termini e di significati predispone certo ad un mutamento politico-amministrativo ma anche politico-strategico, di grande rilevanza e, agli occhi di chi scrive, non proprio desiderabile.
Vediamo perché:
1. Il (bel) paesaggio è una cosa buona e importante. La sua “pianificazione” è un’altra faccenda. Premesso che tutti dovremmo prenderci cura del paesaggio in quanto forma finale di tutte le operazioni che conduciamo sul territorio e che quindi non è sbagliato farne oggetto di politiche specifiche (come ci sono “politiche culturali” ci possono essere “politiche per il paesaggio”), chiediamoci però se la modalità “pianificatoria” sia quella più adatta per intervenire su una materia così liquida e sfuggente. Io credo che non lo sia per la semplice ragione che la “pianificazione”, peraltro di scala regionale, non garantisce assolutamente quell’esito di controllo sulle trasformazioni del “paesaggio” che promette. E ciò per la semplice ragione che non esiste una pianificazione pubblica capace di regolare il molteplice e complesso processo, altamente imprevedibile e non intenzionale, di produzione finale della cultura e dell’identità del territorio che chiamiamo “paesaggio”. Per farlo, dovremmo poter risalire all’origine di ogni singola azione umana (dell’agricoltore, del costruttore, dell’amministratore locale ecc.), e intervenire con severe norme comportamentali a monte di ciascun intervento e poi dovremmo controllare anche il caotico processo di interazione spazio-temporale tra le tantissime variabili in gioco. Siccome una pianificazione di questo tipo è non solo praticamente impossibile ma anche moralmente inammissibile (sarebbe concepibile, per esempio, una “pianificazione culturale”?), non credo che questo sia l’intento del PPR. Ma l’altra possibilità è anche peggiore: è cioè quella di intervenire a valle del processo e cioè, andando a mettere qualche pezza solo sull’ultimo intervento e quindi accanendosi, un po’ ipocritamente, su questo attribuendogli magari colpe non sue o obiettivi di cui non può farsi carico.
Se è così, la “pianificazione paesaggistica” rimane, forse, nell’ambito delle cose che qualcuno può desiderare ma sicuramente non nell’ambito delle cose fattibili. È comunque un campo un campo estremamente delicato e che richiederebbe teorie, studi e sperimentazioni che però nessuno sembra aver adeguatamente sviluppato. Ma, almeno dal punto di vista pratico, una “pianificazione paesaggistica” rischia di essere una promessa mancata fin dall’inizio. Ma di queste questioni non appare traccia nel PPR-FVG e neppure nelle consulenze dei geografi e degli analisti territoriali dell’Università.
2. Ma, al di là di questi aspetti di fondo, che andrebbero comunque considerati prima di avviare un processo di pianificazione regionale del paesaggio, ci sono anche aspetti rilevanti e negativi, anche dal punto di vista “strategico”. La domanda è: siamo sicuri che la sostituzione del concetto di territorio con quello di paesaggio sia un vantaggio? Ci va bene, cioè, buttare via il concetto di territorio (che allude ad un rapporto coestensivo e sinergico tra spazio antropizzato, comunità insediate e poteri pubblici) con un concetto, certamente più sofisticato, ma largamente velleitario dal punto di vista operativo? Io non credo che le comunità, i cittadini, le imprese, le amministrazioni locali ne guadagnino. Territorio è territorio! È una realtà che connota il comune destino di insediamenti, comunità, storie e culture. Mettere il paesaggio sopra il territorio significa subordinare le comunità e i loro destini ad un’etica e ad una estetica astratte che non si sa chi poi controllerà veramente, a quali fini e a partire da dove (lo Stato? la Regione? I guru della “cultura paesaggistica”?). L’etica di fondo è, infatti, quella secondo cui esisterebbe una “civiltà” altra (il bel paesaggio) che il territorio vero, sostanzialmente “incivile” -se non barbaro perché preda di troppi interessi e bramosie-, non capisce e non vuole. E a questo territorio va quindi imposto, volente o nolente, da una autorità etica ed estetica, un certo tipo di paesaggio.
Ragioni pratico-amministrative e politico-strategiche depongono, quindi, contro una pianificazione paesaggistica che punti a sovraordinare quella territoriale. Ben venga il paesaggio e la sua necessaria integrazione nelle pratiche di pianificazione e progettazione locale (nei piani urbanistici comunali, nei piani attuativi, nei regolamenti edilizi, nei progetti degli spazi e delle opere pubbliche ecc.) ma altra cosa sono i piani paesaggistici regionali di ultima generazione dove una complessa e totalizzante “religione” del “paesaggio” sta cercando di sovraordinare -se non negare del tutto- il più civile e laico “governo del territorio” pur servendosi di questo, alla fin fine, per poter attuare la stessa “pianificazione paesaggistica” (alla fin fine sono i PRG che attuano il piano paesaggistico). Ma se la città ed il territorio (che sono la cosa) vengono soppiantati dal “paesaggio” (che è la identità, l’interpretazione culturale di quella cosa), allora cambia profondamente l’oggetto della nostra attenzione e cambia, naturalmente, anche il modo di concepire il rapporto tra conoscenza di quella cosa e azione verso di essa (la pianificazione) e cambia anche il senso e la funzione della pianificazione nella società: da sistema di strategie e norme democraticamente discusse ed approvate, ad una "ingegneria sociale", delle forme fisiche dello sviluppo, decisa dall'alto con la complicità addirittura -in questi piani regionali-, del Ministero dei Beni Culturali che non è certo un modello di innovazione e di democrazia.
Questa, del paesaggio, rischia così di diventare, infine, una “pedagogia sociale” che, nelle mani sbagliate, può diventare anche uno strumento di autoritaria affermazione di un’"etica" ed un’”estetica” indiscutibili (chi mai potrebbe criticare un piano del paesaggio! Verrebbe tacciato di rozzezza culturale e inciviltà!). Si ha l’impressione, cioè, che ci si stia infilando in un "cul de sac" senza uscita che non offre sbocchi validi e concreti né per il rilancio dell’urbanistica, né per la professione né per la formazione tecnica dei più giovani.
La mia posizione è, quindi, al momento, assai critica verso questi piani paesaggistici regionali. Ritengo, invece, un paio di principi assolutamente non negoziabili: il primo è la prevalenza "ontologica" del territorio sul paesaggio (o, in altre parole, della cosa in sé sulla sua interpretazione culturale) con tutto ciò che ne consegue; il secondo è l'autonomia regionale nel definire le strategie e le regole per il proprio territorio. L’art. 14 del PPR prevede, per esempio, che la Variante di adeguamento del PRG comunale al PPR diventi il momento nodale della applicazione strategica del piano. Lo strumento urbanistico comunale deve essere, cioè, approvato in co-pianificazione tra Regione e struttura ministeriale. Ciò significa che il Ministero può anche ritenere non idonea la proposta presentata dal Comune e chiedergli di produrre una nuova proposta o può approvare ma richiedendo modifiche sostanziali. Quindi, l’esito paradossale, è che i PRG dei Comuni saranno co-decisi anche dallo Stato. Se il Ministero dei Beni culturali intende modulare diversamente le regole per i beni su cui esercita la sua competenza, lo faccia (dimostrando però che questo regime è anche più efficace ed efficiente del precedente) ma se questa competenza dovesse diventare, grazie al cavallo di troia di un piano paesaggistico regionale, una "interferenza" estesa ad altre componenti del territorio regionale e tale da sovraordinare anche parti significative di pianificazione comunale (senza peraltro aver reso migliore il sistema delle tutele paesaggistiche di matrice ministeriale), non si potrebbe che dichiararsi contrari a tali forme perverse di invasione.
4. Conclusioni. Come superare il conflitto tra Piano di Governo del Territorio e Piano Paesaggistico
Come superare, allora, un possibile conflitto tra PPR e PGT? È chiaro che le alternative non sono molte. O si elimina uno dei due piani. O si subordina l’uno all’altro. O si integrano assieme. O si separano, in maniera molto chiara, i due piani e soprattutto le rispettive funzioni e le rispettive sfere di competenza. Eliminare uno dei due piani significherebbe disconoscere l’esistenza e l’autonomia, nel governo del territorio, di uno dei due soggetti: la Regione, in via esclusiva, nel caso di PGT; la Regione ed il Ministero, assieme, nel caso del PPR. Eliminare il PGT parrebbe la cosa più semplice da fare: non c’è, al momento, un quadro di riferimento legislativo del PGT (né statale, né regionale) e manca qualunque strumento per agire efficacemente sull’area vasta. È una operazione che si può certamente fare senza grossi traumi se non uno, però, molto, molto pesante. La contemporanea rinuncia alla autonomia regionale nel governo del territorio (ancorché limitata dallo Stato per le materie che gli competono)! Tenersi solo un PPR con “valenza territoriale” sarebbe, inoltre, una grande incognita: l’intervento del Ministero è tutto da capire e non è da escludere che tenderà a generare invasioni di campo, confusione amministrativa e complicazioni burocratiche poiché e difficile immaginare come ci possa essere una reale collaborazione viste le consuetudini storiche e la debolezza della Soprintendenza in termini di operatività: è facile, cioè, dire sì o no, ben più complesso è partecipare a processi di pianificazione. Il rischio è che l’attuazione del PPR si trasformi in una complicata, burocratica e disorganica operazione di introduzione dei contenuti “statutari-statali” nei piani regolatori comunali. Ma eliminare il PPR significherebbe certamente rinunciare anche ad un tentativo importante di integrazione tra materie di competenza statale e pianificazione regionale.
Subordinare il PGT al PPR sembra una strada non perseguibile per tutte le ragioni ampiamente esposte in precedenza. Fare il contrario non sarebbe possibile per la natura sovraordinata che ha la tutela statale del paesaggio. Rimangono da esperire le altre due alternative. L’integrazione o la netta separazione. L’integrazione in un unico piano non pare possibile vista la natura giuridica incoerente dei due strumenti: tutto regionale il PGT, regionale e statale il PPR. Si risolverebbe, inevitabilmente, nella subordinazione del PGT nei confronti del PPR. Rimangono la “netta separazione” o una sorta di “integrazione parziale”.
In fondo non parrebbe né sbagliato né incoerente integrare, in un unico piano strategico di “governo del territorio”, il documento strategico del PGT e la parte strategica del PPR, lasciando fuori ed a sé stante, il PPR “parte statutaria”. In questo modo potrebbero convivere, con ruoli e soggetti ben differenziati, sia uno strumento di “governo regionale del territorio”, dotato anche della valenza della valorizzazione paesaggistica, sia uno strumento di “tutela del paesaggio” costruito in copianificazione tra Regione e Ministero.
* Urbanistia, Past President nazionale ASSURB, membrro del Consiglio Nazionale ASSURB
** Urbanistica, Università di Udine
Riferimenti
- Amorosino S. (2003), Il “governo del territorio” tra Stato, Regioni ed enti locali, in Riv. giur. Edilizia
- Cerulli Irelli V. (2008), Il governo del territorio nel nuovo assetto istituzionale, in Pausania.it. P.L. Portaluri, La civiltà della conversazione nel governo del territorio, in giust.it.
- Gaeta L., Rivolin U. J., Mazza L. (2018), Governo del territorio e pianificazione spaziale (seconda edizione), CittàStudi Edizioni, Torino.
- Salvia F. e Teresi F. (2002), Diritto urbanistico, 7^ ed. Cedam, Padova.
- Stella Richter P. (2002), I principi del diritto urbanistico, Giuffrè, Milano.