LA LEGITTIMITÀ DELLA PEREQUAZIONE ZOPPA TAR VENETO, VENEZIA, SEZIONE I, SENTENZA 10/01/2011 N. 11 - NOTA - M. Antoniol 2011
Il giudice amministrativo veneto torna ad occuparsi di perequazione urbanistica, per offrire all’istituto - che barcolla visibilmente - una stampella in più. Si tratta di uno sforzo notevole: la sentenza tradisce infatti tutto il fascino spiegato sul TAR Venezia dalle eccezioni della resistente. Senza cedere alla tentazione di accoglierne qualcuna, però, il Collegio entra nel merito e contribuisce a legittimare un sistema perequativo che, a quanto pare, si regge in piedi proprio grazie alla stampella della giurisprudenza amministrativa più accondiscendente.
2. Fatto, primo processo e riproposizione del tema perequativo
La controversia decisa con la sentenza in epigrafe non è nuova al TAR Venezia, che se ne era già occupato nel 2009[1]. Oggi come allora si fronteggiano il Comune di San Vendemiano e la sig.ra C.C., che all’epoca era scesa in lizza affiancata dal fratello, mentre oggi è rimasta sola a sostenere l’illegittimità della complessa procedura amministrativa che la vede coinvolta.
In estrema sintesi, la fattispecie si incentra sulla realizzazione di una serie di servizi pubblici nell’ambito del comparto “Capoluogo”, ubicato in San Vendemiano. Il comparto, originariamente caratterizzato da destinazione agricola, nel 1998 assume vocazione residenziale, per mezzo di una variante che ne subordina l’edificazione ad uno strumento urbanistico attuativo e prevede la realizzazione di un asilo nido, di una scuola materna e di un’opera di viabilità.
Sennonché, i privati interessati dal complesso intervento non riescono a raggiungere l’accordo richiesto dalle norme tecniche comunali e ciò induce il Comune a ritornare sui propri passi. A distanza di quasi dieci anni dalla prima variante, dunque, interviene una nuova serie di provvedimenti urbanistici, espressamente finalizzati ad assicurare almeno la realizzazione dei ricordati servizi pubblici. Vengono allora modificate le N.T.A., autorizzando l’intervento diretto dell’amministrazione e - soprattutto - prevedendo espressamente la possibilità di compensare i privati espropriati per mezzo di crediti edificatori, da utilizzare altrove, purché nell’ambito del comparto Capoluogo.
Sulla base di questa variante - tempestivamente impugnata dalla sig.ra C.C. e dal fratello - prende avvio una coppia di procedure espropriative. La prima di esse culmina nel decreto di esproprio del 2008, finalizzato alla realizzazione dell’opera viaria, che viene subito impugnato, unitamente ad un cospicuo numero di atti collegati. La causa viene riunita a quelle già intentate nei confronti degli atti di natura urbanistica ed i sette ricorsi così identificati vengono decisi dalla sentenza n. 2580 del 2009, che li rigetta integralmente.
A distanza di cinque mesi dal deposito della sentenza, giunge a compimento anche la procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione dell’asilo nido. Con ricorso principale e con motivi aggiunti vengono dunque impugnati il progetto definitivo ed il nuovo decreto di esproprio, ancora una volta con tutti gli atti collegati e presupposti.
Il dispositivo della nuova sentenza è identico al precedente, perché in entrambi i casi i motivi di annullamento vengono integralmente respinti. In parte motiva, però, le due pronunce si contrappongono visibilmente. Nel 2009, infatti, era stata depositata una sentenza lunga ed articolata, nella quale i singoli motivi - tutti disattesi - finivano per perdersi in un turbine di assorbimenti ed inammissibilità. Nel 2011, viceversa, il Collegio si sofferma su un unico motivo, e segnatamente su quello rivolto a contestare la legittimità della tecnica perequativa. Ciò dà modo di isolare il profilo più interessante della complessa attività amministrativa posta in essere dal Comune di San Vendemiano che - come si ricorderà - aveva introdotto un meccanismo perequativo-compensativo proprio per superare l’interzia dei proprietari del comparto Capoluogo. Nel vagliare la legittimità di questo meccanismo, il giudice amministrativo offre alcune considerazioni di notevole rilievo, che rendono la sentenza del 2009 ancora più interessante di quella depositata quasi due anni addietro.
Costituendosi nel nuovo giudizio, il Comune di San Vendemiano, prima di sostenere l’infondatezza nel merito delle doglianze della sig.ra C.C., prospetta tre eccezioni particolarmente suggestive: il precedente giudizio[2], il decorso del termine decadenziale e il difetto di giurisdizione del giudice adito. Questa linea difensiva spiega un evidente fascino sul Collegio, che sul punto mostra una certa esitazione.
In relazione all’eccezione di precedente giudizio, anzitutto, la resistente ed il Collegio sono unanimi nell’osservare che i nuovi ricorsi, pur impugnando formalmente degli atti mai sottoposti al vaglio del TAR Venezia, mirano a riproporre esattamente le stesse doglianze già respinte con la sentenza del 2009. Quest’ultima circostanza rende peraltro assai suggestiva la seconda eccezione, con la quale il Comune lamenta il mancato rispetto dei termini decadenziali previsti per l’azione di annullamento. In effetti, la prima ondata di ricorsi ha inconfutabilmente dimostrato che già nel 2007 la sig.ra C.C. era a conoscenza del disposto delle N.T.A. su cui si fondano anche le censure attuali: tanto potrebbe bastare per dichiarare inammissibile il ricorso, per omessa impugnativa di atti che riguardano direttamente il privato ricorrente. Infine, il Collegio ritiene «incontestabile» la competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria, eccepita anch’essa dalla resistente, osservando che la sig.ra C.C. mira invero a sindacare la congruità dell’indennità di esproprio.
Tuttavia, dopo aver ventilato la possibilità - per vero non del tutto convincente[3] - di accogliere una o più di queste eccezioni, il TAR Venezia rifugge l’opzione di accoglierle davvero: il Collegio, infatti, prende atto della «peculiarità della vicenda» e del «particolare coinvolgimento dimostrato dalla ricorrente» e per questo passa ad esaminare il merito della questione.
A prima vista, l’espediente potrebbe sembrare ispirato dalla tutela del privato, ma l’assunto è sconfessato da un’analisi più attenta: è noto infatti che, nel processo amministrativo, per il ricorrente è sostanzialmente indifferente ottenere il rigetto nel rito o nel merito. Piuttosto, la scelta di non accogliere le eccezioni prospettate dalla resistente appare determinata dalla volontà di non perdere l’occasione di approfondire il tema della perequazione urbanistica. Ed invero, i successivi passaggi della sentenza del 2011 sono senz’altro i più interessanti dell’intero decisum ed essi non sarebbero mai stati scritti se il Collegio avesse accolto una o più delle eccezioni sollevate dal Comune.
Già nel 2009, del resto, l’impostazione di fondo del sistema urbanistico di San Vendemiano era rimasta sullo sfondo, toccata solo marginalmente da una motivazione già troppo lunga per addentrarsi in questo delicatissimo tema. Stavolta, invece, la situazione è opposta: l’aver già chiarito che il ricorso non può trovare accoglimento - per le ragioni già viste - consente infatti al Collegio di addentrarsi nel merito di questo innovativo sistema urbanistico, definendolo, analizzandolo, illustrandone i pregi e correggendone i difetti.
Un’analisi di questo spessore non traspare affatto dalla lunga sentenza del 2009: per offrire alla perequazione urbanistica il contributo di cui subito si dirà, in definitiva, occorreva quella serenità che può essere data soltanto da una vicenda che appare già risolta in partenza.
A questo punto ci si potrebbe domandare quali siano i profili del sistema perequativo-compensativo che il TAR Venezia ha così tanta ansia di illustrare.
In estrema sintesi, gli aspetti sottolineati dal Collegio sono due: da un lato, vengono chiariti i pregi tipici di un sistema di questo tipo, per l’evidente utilità di tutte le amministrazioni comunali - venete e non[4] - che abbiano in mente di abbandonare in tutto o in parte l’opposto sistema urbanistico-espropriativo. D’altra parte, viene affrontato e respinto il motivo di annullamento avanzato dalla ricorrente, sottolineando in tal modo che i sistemi di questo tipo, oltre a rispondere ai criteri di buona amministrazione, sono perfettamente in grado di superare il sindacato di legittimità operato dal giudice amministrativo.
Orbene, per intendere esattamente i pregi del sistema perequativo-compensativo è bene distinguere anzitutto l’aspetto perequativo da quello compensativo. Ed invero, la sentenza del 2011 parla costantemente di «perequazione urbanistica», ma leggendola con attenzione e confrontandola con quella del 2009 si intende che l’istituto di cui si duole la ricorrente è piuttosto la «compensazione urbanistica» ovvero, al limite, il complessivo sistema perequativo-compensativo.
Perequazione e compensazione, invero, non sono sinonimi. Sono infatti perequativi, in via generale, quei sistemi urbanistici nei quali i diritti edificatori sono attribuiti omogeneamente ad ogni appezzamento immobiliare, con facoltà di trasferire altrove la cubatura se, nel concreto, il fondo non è edificabile[5]. Sono compensativi, viceversa, quei sistemi che ammettono che al privato sia concesso un certo ammontare di cubatura trasferibile, a compensazione di un sacrificio che egli deve sopportare per il bene comune, nell’ambito di una procedura espropriativa o di in un contesto urbanistico di altro tipo[6].
Il tratto comune tra le due figure è, evidentemente, la trasferibilità dell’indice[7]: sia il proprietario del fondo non edificabile che il proprietario del fondo destinato a pubblica utilità ricevono una certa cubatura, che può essere sviluppata su un altro lotto, detto ambito di trasformazione, o fondo ad quem, o di atterraggio.
Ciò che distingue le due figure, però, è il titolo di acquisto della volumetria trasferibile, con evidenti ripercussioni sull’estensione del fenomeno. Nel sistema perequativo, infatti, il privato dispone di una certa cubatura semplicemente perché è titolare di un fondo non edificabile: di conseguenza, esisteranno tanti diritti trasferibili quanti sono i fondi non edificabili. Nel sistema compensativo, invece, il privato riceve una certa volumetria perché concretamente coinvolto nella realizzazione di interventi di pubblica utilità: di conseguenza, soltanto i proprietari dei fondi connotati da un particolare interesse pubblico disporranno di cubatura trasferibile. Come giustamente riscontrato in dottrina[8], poi, il piano perequativo si occupa di tutte le ipotesi di conformazione della proprietà, mentre l’istituto della compensazione ha di mira le sole ipotesi di conformazione sfavorevole, che trovano una soluzione alternativa rispetto al modello urbanistico-espropriativo tradizionale.
Poiché riposano sul medesimo presupposto di trasferibilità dei diritti edificatori, comunque, i due istituti sono spesso trattati congiuntamente[9]. Non di rado, poi, la stessa normativa - generale[10] o locale[11] - li prevede entrambi: tale è la scelta operata, in particolare, dalla legge urbanistica veneta, che contempla sia l’istituto della perequazione[12] che quello della compensazione urbanistica[13]. In questo contesto, appare senz’altro corretto discorrere di sistema perequativo-compensativo, come in effetti fa la sentenza del 2009, che tratta congiuntamente i due istituti e in rarissime occasioni si limita alla sola perequazione. Nettamente più sbrigativa - anche per le ragioni già esposte - è invece la sentenza del 2011, che parla di perequazione tout court: la terminologia può essere condivisa, ma solo se intesa come abbreviazione di un sistema complessivamente perequativo-compensativo. Da quanto detto in precedenza, infatti, consegue che le doglianze della ricorrente si incentrano sulle concrete scelte compensative operate dal Comune di San Vendemiano e non sulla sua eventuale adesione alla tecnica generale della perequazione urbanistica.
In definitiva, quindi, si può continuare a parlare di sistema perequativo-compensativo e persino di sistema perequativo tout court. Appare però doveroso tenere a mente che i due istituti sono intimamente connessi, ma comunque scindibili, e nel caso di specie viene in rilievo il profilo compensativo, non quello propriamente perequativo[14].
Il sistema perequativo-compensativo - definito come sopra - mostra pregi notevolissimi, sui quali il TAR Venezia si sofferma diffusamente. Tali pregi derivano, in ultima analisi, dall’alternatività tra meccanismi espropriativi e compensativi[15], che il giudice amministrativo veneto sostiene senza esitazione. Ed invero, il ricorso alla tecnica compensativa permette di raggiungere risultati sostanzialmente equivalenti a quelli dell’espropriazione per pubblica utilità, sfuggendo però a due dei principali ostacoli che caratterizzano quest’ultima, vale a dire le complessità procedurali e l’obbligo di corrispondere la giusta indennità.
Dal primo punto di vista, la sentenza 11/2011 è chiarissima nell’affermare anzitutto che la tecnica in parola permette di conseguire gli obiettivi di pubblico interesse «evitando il ricorso alla imposizione dei vincoli preordinati alla futura espropriazione». Ancor più cristallino è poi un altro passaggio della medesima sentenza, laddove si parla di «uno schema procedimentale diverso da quello ordinario (previsione dell’opera pubblica e relativa localizzazione - imposizione del vincolo preordinato all’espropriazione - espropriazione del bene - realizzazione dell’opera pubblica)». Si tratta, evidentemente, di un aspetto che sta molto a cuore al Collegio, che intende evidenziare, appunto, il rapporto di sostanziale alternatività tra meccanismo espropriativo e meccanismo compensativo.
Sul piano economico, poi, quest’ultimo meccanismo si mostra ancora più accattivante, consentendo un notevole risparmio di spesa alle amministrazioni che operino in un sistema perequativo-compensativo: al posto dell’indennità di esproprio, infatti, il privato può vedersi corrispondere un determinato ammontare di diritti edificatori, da sviluppare poi su di un altro fondo. Per le amministrazioni di oggi, che appaiono sempre più impacciate da penetranti vincoli di bilancio, la possibilità di svolgere i propri compiti istituzionali senza dover corrispondere l’indennità di esproprio può costituire già di per sé una tentazione irresistibile. Il TAR Venezia, peraltro, calca notevolmente la mano, alludendo alla «convenienza [di] evitare [...] il peso economico del procedimento espropriativo ordinario» ed alla possibilità di conseguire gli obiettivi di pubblico interesse «senza implicare oneri per la finanza pubblica».
Il sistema perequativo-compensativo, che qui viene in rilievo sotto il profilo compensativo, è sembrato ad alcuni di dubbia legittimità [16]. Come rilevato dal Collegio, però, la sig.ra C.C. non contesta il sistema perequativo ex se, soffermandosi soltanto su un profilo peculiare, peraltro strettamente legato al contesto normativo di riferimento. Il TAR Veneto coglie comunque l’occasione offerta dalla vicenda de qua e si pronuncia su entrambe le questioni: da un lato affronta infatti i dubbi di ordine generale, che potrebbero ipoteticamente porsi di fronte ad un qualsiasi sistema compensativo; dall’altro lato, respinge il motivo d’impugnazione concretamente addotto dalla ricorrente, che attiene specificamente al sistema perequativo-compensativo di San Vendemiano.
Sul piano generale, per vero, la posizione del TAR Veneto è nota: anche in altre occasioni, infatti, il lo stesso Collegio che ha emesso la sentenza n. 2580 del 2009 ha avuto modo di affermare a chiare lettere la piena legittimità dell’opzione urbanistica perequativo-compensativa[17]. In conformità con il precedente espressamente richiamato, quindi, il TAR si allinea alla giurisprudenza maggioritaria[18] e ritiene perfettamente legittimo il sistema de quo, del quale altra parte della giurisprudenza, per vero, ha dubitato anche di recente[19].
Più innovativo - e quindi più interessante - è allora il passaggio motivazionale che si occupa del motivo di annullamento proposto dalla ricorrente: come detto, la questione prende le mosse dalle peculiarità del sistema urbanistico di San Vendemiano, ma ad avviso di chi scrive si presta senza difficoltà ad essere estesa a tutti i sistemi perequativo-compensativi, permettendo di aggiungere un tassello a questo mosaico che, allo stato, si tiene insieme quasi solo per mezzo delle pronunce giurisprudenziali[20].
A questo proposito, si può allora osservare che il sistema del Comune di San Vendemiano non appare compensativo fino in fondo: come si ricava da più passaggi delle due sentenze, infatti, la sig.ra C.C. non è stata del tutto privata dell’indennità di esproprio. Nel dettaglio, il pianificatore competente per territorio ha sì previsto la corresponsione di diritti edificatori trasferibili, ma in misura equivalente alla volumetria altrimenti realizzabile sul fondo stesso, con il chiaro intento di tacitare le sole pretese del proprietario di un fondo edificabile. Rimane fermo, allora, il diritto dell’espropriato a percepire un’indennità pari - come dice il TAR Veneto - al «valore “nudo” del terreno», come se fosse un lotto inedificabile.
La ricorrente, all’evidenza, vorrebbe vedersi corrisposta l’indennità dovuta per i fondi edificabili ed è per questo che insorge avverso il decreto di esproprio del 2010. Ciò che contesta, però, non è la legittimità ex se della tecnica urbanistica del Comune di San Vendemiano, bensì l’effetto che tale tecnica viene a produrre in concreto. Si è già rilevato, infatti, che l’amministrazione si era decisa a modificare le N.T.A. e ad avviare le procedure espropriative in ragione dell’accertata impossibilità, per i proprietari del comparto Capoluogo, di raggiungere un’intesa su un’ipotesi di pianificazione attuativa. La ricorrente contesta allora - con ragionamenti articolati, qui riassunti per quanto d’interesse - che applicando la compensazione urbanistica ad una simile ipotesi l’amministrazione ha finito per riversare su di lei il rischio del mancato raggiungimento dell’intesa con gli altri proprietari interessati dall’intervento. In altre parole, partendo dal dato di fatto che in dieci anni non si è raggiunto un accordo sull’assetto urbanistico da imprimere al territorio, la sig.ra C.C. teme di non riuscire a trovare un proprietario che acconsenta ad accogliere sul proprio fondo i diritti maturati sul fondo espropriato, che lì non sono più utilizzabili e che dunque, per essere sfruttati, devono essere trasferiti altrove. Per sviluppare i diritti trasferiti, infatti, occorre evidentemente il consenso del proprietario del fondo di atterraggio, con il quale si dovrà instaurare una specifica trattativa, che nel caso di specie appare compromessa già in partenza. La sig.ra C.C. non ricorre dunque con l’intento di censurare l’intera tecnica perequativo-compensativa, bensì la distorsione che deriva dal fatto di volerla applicare in un comparto nel quale manchino i presupposti affinché essa funzioni.
Sul punto, però, il Collegio ha buon gioco nell’osservare che si tratta di una doglianza di puro fatto e che, in quanto tale, essa non può minare la legittimità complessiva del sistema. D’altra parte, il TAR intravede come unica alternativa la corresponsione integrale dell’indennità di esproprio, che darebbe luogo, però, ad un ingiustificato arricchimento: nell’ambito di un sistema compensativo, infatti, i diritti edificatori non vengono meno, per cui la ricorrente si troverebbe nella situazione di vedersi indennizzata per un diritto che non ha perso. Secondo il Collegio, ciò rende del tutto infondate le doglianze della sig.ra C.C..
Ad avviso di chi scrive, però, le conclusioni a cui giunge il TAR Venezia sono tutt’altro che obbligate. In particolare, il giudice amministrativo veneto sembra mostrarsi sordo all’esigenza che il sistema perequativo-compensativo funzioni: un’esigenza che, non lontano da Venezia, è stata ritenuta talmente rilevante da condurre all’annullamento di piano urbanistico perequativo[21]. Si trattava in quel caso, nel dettaglio, di un piano propriamente perequativo, viziato dal fatto che i diritti edificatori dei proprietari dei fondi inedificabili non godevano della sicurezza di poter trovare un appropriato lotto di atterraggio: il TAR Milano ha dunque annullato il piano urbanistico, enunciando un principio che ci era sembrato suscettibile di essere esteso al di fuori degli angusti confini della Regione Lombardia[22].
Nel caso che viene qui in esame, invece, il TAR Venezia non si mostra altrettanto sensibile. Anche in quel caso, in effetti, la possibilità di trovare un fondo di atterraggio non era giuridicamente esclusa, ma il piano urbanistico era comunque illegittimo perché, non assicurando la certezza del consenso del proprietario del fondo ad quem, finiva per ledere ingiustificatamente le aspettative del proprietario del fondo a quo. Un’identica aspettativa viene lesa nella vicenda che interessa la sig.ra C.C., ma il TAR Veneto esclude seccamente che questo comporti l’illegittimità del sistema di San Vendemiano. Al limite, si potrà valutare in seguito se risarcire i «danni derivanti alla ricorrente dalla manca conclusione degli accordi di comparto» ovvero se procedere con un «intervento risolutivo d’autorità da parte della stessa amministrazione comunale»: si tratta, a ben guardare, di due strade che si mostrano già in partenza particolarmente impervie, per cui stupisce che il Collegio le indichi come possibili soluzioni di una vicenda già portata in sede giudiziale. Sono però le sole via di uscita concesse alla sig.ra C.C., la quale ad avviso del Collegio non può addurre una mera difficoltà ipotetica per ottenere l’annullamento dei provvedimenti amministrativi che la riguardano.
A conclusione dell’analisi risulta piuttosto semplice comprendere perché il TAR Venezia abbia deciso di entrare nel merito delle doglianze proposte dalla sig.ra C.C., pur dopo aver rilevato un fondo di verità nelle eccezioni sollevate dalla resistente. Nel 2009, infatti, la medesima Sezione, in composizione quasi identica, aveva perso l’occasione di affermare apertis verbis la legittimità dei sistemi perequativo-compensativi analoghi a quello vigente nel Comune di San Vendemiano, che risultava impercettibile in una motivazione lunga e complessa. A due anni di distanza viene riproposta la stessa questione e stavolta il Collegio non manca di affermare che il sistema perequativo-compensativo è legittimo in generale - come, invero, aveva già sostenuto in precedenza - ma anche che lo è nella forma che viene oggi in rilievo.
Nel dettaglio, è legittima la previsione delle N.T.A. che consente di scindere, al momento della corresponsione dell’indennità di esproprio, il valore del terreno “nudo” dai relativi diritti edificatori, ristorando il primo ed attribuendo la possibilità di trasferire altrove i secondi, che per l’effetto non vengono indennizzati. Ad un sistema di questo tipo, per vero, si può ragionevolmente contestare che non tiene conto della difficoltà di incontrare il consenso del proprietario del fondo ad quem: una difficoltà che altrove ha costituito motivo di annullamento parziale di un piano urbanistico di tipo perequativo. Se non si tiene conto di questa difficoltà, infatti, ne potrebbe uscire una perequazione “zoppa”, che sposta i diritti edificatori ma non ha dove farli atterrare. Si tratta di un pericolo che è stato avvertito dall’indirizzo più sensibile della giurisprudenza amministrativa, al quale però non si può ascrivere la sentenza in epigrafe: era infatti all’esame del TAR Venezia una fattispecie nella quale le difficoltà concrete, confermate da dieci anni di trattative, non sono state comunque in grado di provocare l’annullamento delle N.T.A. né della procedura espropriativa che vi ha dato attuazione. Un sistema analogo a quello di San Vendemiano potrebbe dunque reggere benissimo, a fortiori, laddove le difficoltà di atterraggio non fossero nemmeno provate.
Il messaggio di fondo appare allora in tutta la sua chiarezza: il sistema perequativo-compensativo va sostenuto, perché ha pregi notevolissimi, specie se confrontato con la procedura espropriativa ordinaria, che è troppo articolata e troppo dispendiosa. Sostenere sistemi di questo tipo può richiedere un certo sforzo, ma ne vale la pena. Una perequazione zoppa, in definitiva, è pur sempre meglio di un sistema completamente paralizzato.
[1] Cfr. TAR Veneto, Venezia, sez. I, 13 ottobre 2009, n. 2850.
[2] Il Collegio non parla infatti di giudicato, bensì del «fatto che tali atti hanno già subito il vaglio di legittimità»: cfr. TAR Veneto, Venezia, sez. I, 10 gennaio 2011, n. 11. In effetti, TAR Venezia 2580/2009 era stata depositata in data 13 ottobre 2009 e alla data dell’udienza, cioè il 25 novembre 2010, risultava «allo stato non appellata, come confermato dal procuratore della ricorrente in udienza». In forza del combinato disposto dell’art. 28, secondo comma, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 e dell’art. 1, legge n. 7 ottobre 1969, n. 742, sarebbe dunque passata in giudicato, in difetto di notificazione della sentenza e dell’atto di appello, pochi giorni dopo l’udienza stessa.
[3] L’impugnazione di atti formalmente nuovi, anzitutto, non sembra preclusa dal precedente rigetto dell’impugnazione di altri atti, neppure così simili. Più suggestiva appare l’eccezione di inammissibilità per decorrenza dei termini decadenziali, ma essa sembrerebbe richiedere un’analisi più accurata del rapporto intercorrente tra i due atti applicativi e l’atto generale. Sulla competenza del giudice ordinario, infine, sembra lecito avanzare qualche perplessità, se solo si tiene a mente che la ricorrente non contesta affatto la congruità dell’indennità di esproprio. A ben vedere, in effetti, le perplessità della ricorrente non riguardano l’ammontare dei crediti edilizi, bensì il fatto stesso di aver ricevuto dei crediti edilizi al posto dell’indennità di esproprio: a questo proposito non sembra dubitabile che si tratti di un aspetto procedurale, della cui legittimità non può che occuparsi il giudice amministrativo.
[4] Il sistema perequativo-compensativo, come rilevato dal TAR «sebbene non contemplato a livello di legislazione nazionale, è stato progressivamente introdotto dalle legislazioni regionali». Per una rassegna delle normative regionali che si occupano di perequazione e compensazione sia consentito rinviare a ANTONIOL M., Indici di edificabilità - superfici, volumi e densità edilizia, Padova, 2011, pag. 90, laddove si richiamano in nota le seguenti norme: «Art. 11, c. 1, l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 [...]; art. 33, c. 3, l.r. Basilicata 11 agosto 1999, n. 23; art. 7, cc. 2-3, l.r. Emilia-Romagna 24 marzo 2002, n. 20; art. 14, c. 1, l.r. Puglia 27 luglio 2001, n. 20; art. 54, c. 2, l.r. Calabria 16 aprile 2002, n. 19; art. 25, c. 3, l.r. Veneto 23 aprile 2004, n. 11; art. 32, c. 2, l.r. Campania 22 dicembre 2004, n. 16; art. 60, c. 1, l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1; art. 55-bis, c. 6, l.p. Bolzano 11 agosto 1997, n. 13, e art. 53, c. 3, lett. b), l.p. Trento 4 marzo 2008, n. 1».
[5] Cfr. ANTONIOL M., Indici di edificabilità, cit., pag. 90: «In via di prima approssimazione si può individuare l’essenza della perequazione urbanistica nell’attribuzione di pari diritti edificatori ad ogni appezzamento di terreno, a prescindere dalla relativa destinazione urbanistica e quindi anche nell’ipotesi in cui si tratti di lotti non edificabili»
[6]Cfr. STELLA RICHTER P., La perequazione urbanistica, in Riv. giur. edilizia 2005, 4, pagg. 169 e ss. «Dalla perequazione va tenuta distinta la cosiddetta compensazione, che consiste nella possibilità di stipulare una convenzione con la quale il proprietario di un’area vincolata cede la stessa al Comune ottenendo in cambio la disponibilità di una cubatura su di un’altra area». Cfr. anche BOSCOLO E., Le perequazioni e le compensazioni, in www.pausania.it, pag. 18: «La compensazione ha invece un doppio volto: in alcuni casi si mantiene entro l’alveo della pianificazione tradizionale ed è finalizzata ad elidere le conseguenze pregiudizievoli che si manifestano ove resti necessario acquisire delle aree mediante vincolo-ablazione, in altri casi si pone al di fuori degli schemi usuali e diviene funzionale a garantire ristoro ad un proprietario a cui si richiede (od impone), un facere per ragioni paesaggistico-ambientali».
[7] Cfr. emblematicamente art. 11, c. 4, l.r. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12: «I diritti edificatori attribuiti a titolo di perequazione e di compensazione sono commerciabili». Sugli indici di edificabilità, anche in relazione al profilo della trasferibilità nell’ambito di sistemi perequativo-compensativi, sia consentito rinviare a ANTONIOL M., Indici, passim e specialmente pagg. 89 e ss..
[8] Per un’altra differenza tra i due istituti cfr. BOSCOLO E., Le perequazioni e le compensazioni, cit., pag. 18: «La perequazione garantisce ai proprietari risultati che rendono comunque (anche dopo l’assolvimento degli oneri infrastrutturativi) vantaggiosa l’attuazione del piano, mentre la compensazione affronta in termini nuovi il problema degli effetti delle previsioni urbanistiche sfavorevoli, assegnando ai proprietari interessati da scelte pianificatorie di segno negativo (in funzione ablatoria o per l’eliminazione di ‘detrattori’ percettivi) una alternativa in valori urbanistici preferibile rispetto all’ordinario indennizzo pecuniario».
[9] Cfr. emblematicamente BOSCOLO E., Le perequazioni e le compensazioni, cit..
[10] Cfr. ad esempio art. 33, n. 2, l.r. Basilicata 11 agosto 1999, n. 23: «La pratica della perequazione urbanistica si basa su un accordo di tipo convenzionale che prevede la compensazione tra suolo ceduto o acquisito e diritti edificatori acquisiti o ceduti».
[11] Cfr. ad esempio CASINI L., Perequazione e compensazioni nel nuovo piano regolatore generale di Roma, in Giorn. dir. amm., 2009, 2, pagg. 203 e ss.: «Il nuovo Prg prevede diversi meccanismi perequativi e compensativi per la sua attuazione».
[12] Cfr. art. 35, l.r. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, rubricato «Perequazione urbanistica», che così recita: «La perequazione urbanistica persegue l’equa distribuzione, tra i proprietari degli immobili interessati dagli interventi, dei diritti edificatori riconosciuti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali. 2. Il piano di assetto del territorio (PAT) stabilisce i criteri e le modalità per l’applicazione della perequazione urbanistica. 3. Il piano degli interventi (PI), i piani urbanistici attuativi (PUA), i comparti urbanistici e gli atti di programmazione negoziata attuano la perequazione disciplinando gli interventi di trasformazione da realizzare unitariamente, assicurando un’equa ripartizione dei diritti edificatori e dei relativi oneri tra tutti i proprietari delle aree e degli edifici interessati dall’intervento, indipendentemente dalle specifiche destinazioni d’uso assegnate alle singole aree. 4. Ai fini della realizzazione della volumetria complessiva derivante dall’indice di edificabilità attribuito, i piani urbanistici attuativi (PUA), i comparti urbanistici e gli atti di programmazione negoziata, individuano gli eventuali edifici esistenti, le aree ove è concentrata l’edificazione e le aree da cedersi gratuitamente al comune o da asservirsi per la realizzazione di servizi ed infrastrutture, nonché per le compensazioni urbanistiche ai sensi dell’articolo 37».
[13] Cfr. art. 37, l.r. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, rubricato «Compensazione urbanistica», che così recita: «1. Con le procedure di cui agli articoli 7, 20 e 21 sono consentite compensazioni che permettano ai proprietari di aree ed edifici oggetto di vincolo preordinato all’esproprio di recuperare adeguata capacità edificatoria, anche nella forma del credito edilizio di cui all’articolo 36, su altre aree e/o edifici, anche di proprietà pubblica, previa cessione all’amministrazione dell’area oggetto di vincolo».
[14] Sull’uso promiscuo - e quindi a nostro avviso improprio - dei due termini nella prassi cfr. BOSCOLO E., Le perequazioni e le compensazioni, cit., passim e specialmente pag. 15, nota 68.
[15] Sul punto cfr. ANTONIOL M., Indici di edificabilità, cit., pag. 92.
[16]Cfr. in particolare GRAZIOSI B., Figure polimorfe di perequazione urbanistica e principio di legalità, in Riv. giur. edilizia 2007, 4-5, pagg. 147 e ss.: «Vi sono molte, evidenti ragioni per dubitare fortemente della stessa legittimità costituzionale di una norma regionale che, in difetto di uno statuto generale della proprietà fondiaria dato con legge statale, consentisse di perseguire questi effetti, che, in sostanza, presuppongono la scissione tra diritto di proprietà e ius aedificandi, contraddicendo apertamente il principio dell’inerenza dello ius aedificandi al diritto di proprietà, riaffermato in modo deciso dalla giurisprudenza pur dopo l’avvento del titolo “concessorio” introdotto dalla legge n. 1 del 1977 e, soprattutto, ribadito con norma di principio, dal t.u. sull’edilizia n. 380 del 2001 codificando l’istituto del permesso di costruire».
[17] Cfr. in particolare TAR Veneto, Venezia, sez. I, 19 maggio 2009, n. 1504, richiamato espressamente da TAR Venezia 11/2011.
[18] Sulla generale legittimità dei sistemi perequativi si veda Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, n. 4542, la quale riforma una sentenza del TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, che aveva ritenuto illegittimo il piano urbanistico perequativo del Comune di Roma. Osserva in particolare il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa che «la legittimità della censurata disciplina perequativa delle N.T.A. si regge su due pilastri fondamentali, entrambi ben noti al nostro ordinamento: da un lato, la potestà conformativa del territorio di cui l’Amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione; dall’altro, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse».
[19] Cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 4 febbraio 2010, N. 1524. Per un commento su quest’ultima pronuncia cfr. ANTONIOL M., Quale base legislativa può reggere un piano perequativo?, in www.esproprionline.it e in www.urbium.it.
[20] Sul punto cfr. ANTONIOL M., L’indice fondiario virtuale negli ambiti di trasformazione, in www.urbium.it: «È chiaro che, almeno con riferimento ai fondamentali dell’istituto, deve essere fatto tesoro di quanto dettato anche dai giudici amministrativi operanti in altre Regioni ed in diverso contesto normativo».
[21] Cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 17 settembre 2009, N. 4671. Per un commento a questa pronuncia cfr. ANTONIOL M., L’indice fondiario virtuale, cit..
[22] Cfr. ANTONIOL M., L’indice fondiario virtuale, cit., laddove si allude all’«esigenza - senz’altro non limitata alla Regione Lombardia - di impedire la stasi del mercato dei diritti edificatori»
MARCO ANTONIOL, dottore in giurisprudenza, specialista per le professioni legali, abilitato all'iscrizione all'abo degli avvocati, collaboratore giuridico del network professionale www.territorio.it, relatore in convegni, autore per Exeo di diversi libri