"L'insostenibile leggerezza dell'essere urbanista" - Massimo Gronich
Lo scorcio di secolo che stiamo vivendo appare nettamente distinto – per storicità e caratterizzazioni – dall'intenso, espansionistico e complicato “secolo breve” che l'ha preceduto. Tre elementi saranno ricordati con immediatezza, uno arcaico e due nuovi, ovvero il degrado delle città e dell'ambiente, retaggio del secolo passato, sopra il quale si sono innestati gli altri due elementi, la crisi economico-finanziaria e la follìa terroristica perchè questi hanno inciso enormemente sullo stile di vita, sulle abitudini del muoversi, modificando le esigenze dei singoli e dei trasporti organizzati.
La depressione e la recessione, fatti più pesantemente ricaduti sui consumi, hanno sconvolto le esigenze dell'uomo, le aspirazioni di una più consona qualità della vita e la percezione che essa avvenga soprattutto tramite idonea mobilità gratuita e doverosa, appaiono perciò modificate.
Le periferie urbane – in mancanza di risorse economiche dissipabili a cuor leggero – sono così sempre più obsolete ed inadeguate a dare risposta alle esigenze sociali del vivere organizzato interpretabili esclusivamente da una matura e corretta urbanistica.
L'ambiente naturale non ha beneficiato, nemmeno minimamente, di tale evoluzione, e nemmeno i servizi sono migliorati in tempo di crisi, ma tanto l'ambiente quanto la dotazione di infrastrutture dovranno al presente ed in futuro sempre più trarne vantaggio, nella città vivibile che l'urbanista-pianificatore dovrà progettare.
Si è rafforzata la tendenza all'antropizzazione, anche per via della migrazione, con l'espansione irreversibile delle città e delle cittadine in virtù di normative datate che corrispondono benefici (apparenti) economici a fronte dello smodato sacrificio territoriale, ritenuto da qualcuno “conveniente” – ma contemporaneamente molti eventi naturali, in ambiti già segnati dalla sottovalutazione dell'urbanistica – hanno portato a devastazioni e sconvolgimenti il cui conto appare tutt'altro che conveniente.
Tutto ciò necessita a questo punto di idee nuove, di procedimenti intelligenti e culturalmente preparati di gestione, di un vero e proprio ruolo di urgente recupero del governo della pianificazione urbanistica che tenga conto dell'avvenuta riduzione dei suoli liberi, della trascuratezza delle campagne, dell'espansione dell'ambiente urbano con stravolgimento anche di zone di pregio storico, architettonico, ambientale, della possibilità di trarre beneficio economico e sociale dalla giusta tutela del territorio, vera materia prima del nostro Paese.
Infatti la pianificazione non può essere supportata solamente dalla gestione di aride percentualizzazioni, gestite da certa politica, ma dalla comprensione e “messa in ordine” di tutti quei dati socioeconomici ed edilizi che determinano i presupposti per il corretto abitare, nell'espansione delle città laddove necessaria, ma in un quadro di enfatizzazione del territorio e delle sue bellezze come cornice di bene prevalente.
La città postindustriale, ampliata a suon di periferie, che l'ha resa “alveare”, forse, per il nostro Paese, con l'aiuto della migliore urbanistica diverrà realtà da archiviare progressivamente, di fronte alle nuove domande ed esigenze, considerato che la grave situazione di crisi, ormai perdurantesi oltre ogni aspettativa, porterà alla riduzione e alla dislocazione di molte zone produttive che altrimenti diverranno cattedrali in un deserto inabitabile.
D'altra parte un ambiente urbano come quello che caratterizza il meglio delle nostre realtà non può essere, da un lato, “haussmannizzato”, considerata la giusta propensione ai vincoli di tutela, e nemmeno insidiato da elementi più o meno razionalisti e di dubbia adeguatezza territoriale, estranei alla cultura architettonico-urbanistica umanistica, fortemente dirompenti rispetto al tessuto antico che caratterizza sia i centri storici che l'habitat esterno.
Non pare accettabile il proseguire con il ritenere possibile il sacrificio del territorio, nocumento avvenuto spesso per meri scopi speculativi, del tutto disgiunti rispetto alle vere necessità socio economiche; una seria tutela del territorio, per contro, sarà sempre più parte fondante della corretta ed indispensabile pianificazione, anche in considerazione di una demografia dai contorni sempre più incerti.
Ad esempio il ritorno ad esperimenti, non più tanto occasionali, di reintroduzione del verde urbano privato, a compimento di quell' hortus conclusus ancestralmente collegato all'idea del bello anche nelle nostre città, deve assolutamente avvenire, attraverso l'urbanistica, a favore e garanzia del buon vivere di tutti i ceti sociali, e via via la dotazione di servizi diffusi e di adeguate modalità di trasporto potranno caratterizzare la città del futuro.
Non si tratta più, quindi, di incentivare concentrazioni e zonizzazioni in ragione del solo movimento determinato dal lavorare, ma di studiare soluzioni che possano consentire ai cittadini di poter risedere bene e compiutamente a prescindere dalle necessità di mobilità, e ciò può avvenire solo ed esclusivamente attraverso pianificazioni, del traffico, del verde, del commercio e anche delle occasioni culturali, che non possono e non devono prescindere dalla figura professionalmente più qualificata, alla quale le pubbliche amministrazioni dovrebbero rivolgersi, cioè dell'urbanista-pianificatore.
Le periferie, brutte in partenza e degradate di seguito, costantemente mai progettate da urbanisti, che nessuno è più in grado di difendere in termini di esperienza e di architettura, necessitano a questo punto di una nuova visione urbanistica, per il loro superamento, in primis di dotazione di ulteriori servizi e di seguito anche di gestione di dati, sociologici ed anche edilizi; altrimenti non sarà difficile attendersi, in mancanza di monitoraggio e gestione pianificatoria delle emergenze, un deperimento evolutivo sempre più pericoloso di immobili ed aree intere fuori controllo.
D'altra parte, come possiamo rispondere all'interrogativo di cosa sarà la città futura se non siamo ancora in grado, per sottovalutazione dell'urbanistica, di definire cosa sia la città attuale ?
Come nel romanzo di Milan Kundera, la gente di solito si rifugia nel futuro per sfuggire alle proprie sofferenze. Traccia una linea immaginaria sulla traiettoria del tempo, al di là della quale le sue sofferenze di oggi cessano di esistere, non solo come spazio urbano che si vorrebbe, quindi, ma di un futuro spazio urbano filtrato, mediato, collegato ed integrato, in un ambiente leggero e gradevole: ecco come l'urbanista-pianficatore dovrà dare il proprio leggero, insostenibile, ma certamente non più rinviabile contributo dall'utopia alla realtà migliore del vivere.
Massimo Gronich componente del Consiglio Nazionale degli Urbanisti